lunedì 10 marzo 2014

Un buon orario

Un buon orario per morire (19.11.2013)


Alle 3 del mattino muoiono molte persone anziane. Non so se ci sia una qualche base scientifica ma è una constatazione. Anche mia madre, 4 anni fa come oggi, è morta a quell’ora. Una morte serena, al Cardiocentro di Lugano, di una persona anziana che si spegne piano piano dopo una lunga vita.

Altra storia invece quando muoiono persone più giovani: non siamo attrezzati per gestire queste morti. Soprattutto la nostra finitezza ma anche quella delle persone a noi vicine è come se non fosse contemplata. Forse un retaggio dei meccanismi atavici della sopravvivenza della specie che ci fa rifiutare la costatazione elementare ed evidente che abbiamo una “data di termine” (come i replicanti modello Nexus 6 di Blade Runner). Un’amica psicoanalista dice che “Morte, per l’individuo, ha una significato diverso, quello di conclusione. E’ tutto il senso dell’opera di Freud”. La morte o la finitezza di chi ci è lontano, che non ci coinvolge affettivamente invece a volte ci sembra essere nell’ordine delle cose, ma è raro.
Ci sono esperienze religiose che permettono di collocare l’evento all’interno di un orizzonte di senso trascendente. Non è usuale, ma accade, che persone vicine a queste esperienze riescano a vivere il lutto in forma comunitaria, rileggendo questo accadimento drammatico in una prospettiva di disegno sensato e buono. Il dramma resta tale con tutta la sofferenza, senza sconti, con tutte le lacerazioni psicofisiche legate alla gestione della separazione ma la rilettura del loro percorso è in una prospettiva di destino carico di serenità e di speranza: “affranti e lieti” hanno scritto due genitori ricordando la figlia.


Serena 20.8.1996 - 6.11.2013

Ho visto personalmente alcune di queste situazioni e ho una profonda gratitudine per quelle persone che hanno saputo vivere in modo così fuori del comune la morte di un coniuge o di un figlio. Persone assolutamente normali che diventano straordinarie, incredibili, che consolano gli amici al funerale, che riescono a sorridere, che scrivono parole cariche di speranza. La visione religiosa che queste persone riescono a esprimere e a vivere profondamente nella loro famiglia e con la loro comunità di persone vicine, mi ha sempre colpito non solo per la testimonianza condivisibile con chi fa un’esperienza religiosa, magari all’interno dello stesso movimento ecclesiale (perché è qui che succedono queste cose, alla faccia dei detrattori dei movimenti), ma per la possibilità di testimonianza a un mondo laico, lontano da quel contesto esperienziale.
Credo che la forza di quelle testimonianze stia nel rendere pubblica una ipotesi, relativa al fatto che la morte potrebbe essere riletta non solo quale rottura e disordine, ma come una fase della vita inserita in un ordine (l’ordine delle cose). L’ipotesi trascendente infatti può risultare incomprensibile e incomunicabile a chi è lontano da quella dimensione, ma siccome il confronto con la morte è per tutti, allora la testimonianza davvero eccezionale di questi cattolici può dar speranza anche a chi non lo è e non lo diventerà mai, ma che in questo frangente può apprezzare e fare sua l’esperienza dello “sperare contro ogni speranza”.

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