Chi sono io per giudicare? Una frase che ha fatto il giro del mondo, interpretata come una apertura della Chiesa al tema dell’omosessualità, un cambiamento di rotta epocale. Papa Francesco l’ha detta ma credo che se avesse avuto il buon vecchio Joaquín Navarro-Valls come capo della sala stampa, colui che, con Giovanni Paolo II, ha rivoluzionato la comunicazione vaticana, questi gli avrebbe suggerito in cuffia “lasci perdere non è opportuno perché la strumentalizzeranno tutti”. La ricetta della comunicazione di questo geniale psichiatra targato Opus Dei infatti era che ai giornalisti bisogna dare di tutto e di più ma esattamente ciò che si vuole far uscire sui mass media di tutto il mondo, controllando quindi ogni parola e le sue possibili conseguenze. Con lui, ad esempio, sarebbe stato impensabile un incidente devastante come quello col mondo musulmano occorso al povero Benedetto XVI a Ratisbona , punito per essersi scelto un capo della sala stampa assolutamente inadeguato. Papa Francesco invece fa tutto da solo improvvisandosi esperto di media e facendo credere al mondo di essere quello che verosimilmente non è, anche se ha un successo strepitoso. Ha infatti firmato come sua prima enciclica un testo scritto in buona parte da Benedetto XVI nel segno quindi di una assoluta continuità. Lo stile invece evidentemente è cambiato completamente. Papa Ratzinger infatti non avrebbe mai potuto raccontare che una bambina gli aveva detto che “la fidanzata della sua mamma non le vuole bene” semplicemente perché non era un vescovo d’attacco in una diocesi dell’america latina in effervescienza come Papa Francesco fino a un anno fa’. Ma la sostanza è che entrambi hanno un riferimento preciso e inequivocabile con la dottrina tradizionale della Chiesa. La facciata mediatizzata e mediatizzabile invece sembra la svolta epocale e il cambiamento dei fondamenti dottrinali. Sbagliato. Sbagliato ma inevitabile perché dal profilo mediatico le scelte di Papa Francesco hanno offerto su un piatto d’argento il materiale per dipingere un’immagine simpatica, accattivante e vincente di un Papa che di fatto però non corrisponde per niente al suo profilo dottrinale, basta pensare alle lotte politiche che ha condotto da Vescovo in Argentina. Cioè l’immagine di incredibile successo che ha portato in copertina del Time e del The New Yorker a dicembre Papa Francesco si fonda su un aperturismo dottrinale che non caratterizza affatto il pensiero di Papa Francesco.
“Who am I to Judge?" è diventato il titolo emblematico del lunghissimo articolo del The New Yorker (11 pagine nella versione digitale!), come simbolo di un’apertura del Papa in generale, e in particolare relativamente all’omosessualità, rispetto a quanto afferma il catechismo. La solita confusione fra la posizione della Chiesa relativamente alla ideologia omosessuale con l’addentellato del genderismo, e il diritto (e dovere) sacrosanto al rispetto e all’accoglienza della persona indipendentemente dalle sue preferenze sessuali. È il pasticcio di sempre dove si confondono affermazioni ideologiche e dottrinali sulla struttura familiare che per la Chiesa è solo eterosessuale, e la capacità di essere accoglienti e rispettosi di tutti, quindi anche di chi vive un concetto di famiglia o di relazione diversa.
“Who am I to judge? Chi sono io per giudicare?” si riferisce evidentemente (per chi ha un po’ di dimestichezza con le cose cattoliche e legge i testi completi da cui sono estrapolate le frasi a effetto) alle persone, a chi è omosessuale ed è convinto che quella forma di relazione sia perfettamente compatibile col bene massimo immaginabile per un modello sociale. Ma non ha niente a che vedere con la capacità della Chiesa, e ovviamente di Papa Francesco, di giudicare l’omosessualità (come modello e ideologia) perché il catechismo è ancora ritenuto valido e non opinabile, e dice in modo inequivocabile come sia la posizione precisa della Chiesa. Strumentalizzazione di una frase? A volte si, come la storia della bambina non amata dalla fidanzata della mamma, che goffamente Lombardi (sala stampa vaticana) ha “rettificato”. Ma credo invece che molte altre vicende analoghe, in particolare quella del The New Yorker, non siano originate da una volontà di strumentalizzazione. Il giornalista James Carroll infatti, sembra davvero contento come moltissimi cattolici e non, di questo Papa che in un anno ha conquistato il mondo e di conseguenza due copertine prestigiose americane che non fanno regali. L’immagine di questo papato in questo articolo è di una superficialità evidente ma descrive sostanzialmente quello che piace a tutti, che tutti vogliono sentire perché finalmente capiscono o credono di capire. Non si tratta di cavillosi e contorti vaticanisti che interpretano e strumentalizzano secondo il proprio modello di Chiesa ma solo di uno sguardo esterno sinceramente affascinato da quello che sembra definire questo simpatico Papa. Ma “Who am I to Judge?” non descrive Papa Francesco ma quello che il mondo desidera che sia, e che la sua ingenuità mediatica ha permesso che sembrasse. Cosa succederà quando tutto questo entusiasmo superficiale si scontrerà con un Papa che dirà dei sì e dei no su questioni dottrinali in perfetta sintonia con la tradizione? Come Obama che, santificato subito, non ha retto alle aspettative miracolistiche della valutazione superficial-mediatica.
E ci sono cascati persino gli integralisti lefevriani elvetici che hanno lanciato una crociata contro Papa Francesco per il suo (presunto) aperturismo alla ” perdizione omosessuale” a suon di rosari: un milione mi pare entro giugno con sistemi di conteggio online. Mi viene in mente Dogma, il capolavoro cinematografico di Silent Bob (Kevin Smith), e la statua di un Jesus Christ progressista che, strizzando l’occhio, fa il gesto col pollice levato: YEAH!
Nessun commento:
Posta un commento