La povertà e l'ideologia dominante: dai media (RSI in primis) allo Stato e ai privati
Il 23 novembre 2017 a pag 25 del Giornale del Popolo ho avuto l'onore di un terzo di pagina per esprimere ciò che penso della povertà in Svizzera da raccontare in TV.La giornalista che mi ha contattato mi ha scritto che aveva visto la trasmissione "60 minuti" della RSI2 del 20 novembre Il costo della Povertà 60-minuti/RSI2. Voleva sapere da me come si fa ad approfondire il tema della povertà vista l'esperienza televisiva di Caritas Ticino a cui ho dato il mio contributo fin dalla sua nascita nel 1994. Non so quanto fosse cosciente del fatto che "60 minuti" era agli antipodi della mia lettura della povertà e darmi carta bianca voleva dire dar voce a una posizione ben diversa sulla lettura della povertà da quella dominante e stravincente su tutti i media, fra i politici e fra le organizzazioni caritative/assistenziali. Nessuno se ne sarà accorto perché la mediocrità intellettuale è lo standard accettato incodizionatamente ma il discorso improntato sulle risorse delle persone che non sono mai definite dalla loro indigenza, povertà, penuria, handicap e mancanza, che io ho fatto mio e di Caritas Ticino partendo dal Vescovo Eugenio Corecco, poi da Muhammad Yunus, Amartya Senn e C.K.Prahalad, e dall'enciclica di Benedetto XVI del 2009 Caritas in veritate, non ha proprio nulla a che vedere con quello che hanno detto i partecipanti a "60 minuti" ne "Il costo della povertà".
La tesi dominante sulla povertà in Svizzera è stata esposta infatti nei primi minuti della trasmissione con alcuni dati di cui il conduttore ha detto, spazzando via ogni spazio di possibile obiezione: "sarebbe da incoscenti ignorare questa situazione". E la situazione che sarebbe da incoscienti ignorare è che in Svizzera ci sarebbero 75000 bambini poveri e più di 200000 a rischio di povertà e in Ticino una famiglia su tre se riceve una fattura di 2500 FR non prevista, non è in grado di pagarla. Tutta la trasmissione è stata uno sviluppo analitico con abbondanti scivolamenti pietistici per dimostrare la tesi della povertà dilagante e sostanzialmente del fallimento totale dello stato sociale al punto che oggi, secondo loro, le organizzazioni private devono sopperire ai buchi dello Stato inadempiente. Un quadro da catastrofe che però è estremamente gratificante perché fa sentire tutti buoni e protesi verso i poveri che finalmente ci sono. E verso Natale questo è proprio un bel ragalo!
Questo quadretto catastrofico non ha avuto la benché minima obiezione o accenno a ipotesi diverse in tutti i 60 minuti di trasmissione: i due ricercatori, con linguaggio dotto e piacevole hanno sciorinato la teoria della penuria che non ha vie di uscita se non in un miracolo economico in cui i poveri svizzeri di conseguenza diventerebbero ricchi! Uno dei due, spiegando i parametri per definire i poveri in Svizzera ha accennato alla difficoltà di paragonare il parametro della soglia di povertà in valore assoluto (franchetti sonanti) con quello degli altri stati europei e quindi la sostituzione di questo paramentro con quello "relativo" del 60% del reddito medio, e nessuno ha reagito e forse nessuno si è accorto di cosa realmente stesse dicendo: in realtà aveva messo il dito sulla piaga di un indicatore illuminante dei criteri molto relativi adottati in Svizzera. Se infatti si adotta la soglia di povertà in valore assoluto, cioè 2500 Fr per persona singola e 4000 per coppia con due figli, si deve aver vergogna ad andare a raccontarlo mettendo il naso al di là della frontiera, dove più aumentano i kilometri e più l'assurdità appare evidente. La povertà materiale infatti nel mondo esiste ma non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella svizzera sbandierata da media, dai politici e dalle organizzazione assitenziali private.
Quando avevo i miei 5 figli piccoli e mia moglie non lavorava probabilmente se ci fosse arrivata una fattura improvvisa di 2500 Fr non avremmo potuto pagarla interamente quel mese, ma non ci siamo mai sentiti poveri ed abbiamo sempre pensato di avere risorse e creatività per mantenere modestamente ma decorosamente il livello di vita della nostra famiglia. Questo perché la povertà ,materiale in paesi ricchi come la svizzera è prima di tutto nella testa delle persone ed è ideologica.
Non avere sempre tutto e subito può essere una palestra interessante per valorizzare le proprie risorse ed abituarsi a interrogarsi su cosa potrei prima di tutto fare io prima di aspettare che altri, lo Stato o chissà chi, si debbano preoccupare per me.
Ma poi quello che mi disturba in questo piagnisteo, che si aquisce ogni anno in periodo prenatalizio, è che questo non è mai da stimolo o da pungolo per affrontare il problema dei bassi salari, della mancanza di contratti collettivi per diverse categorie, del dumping salariale che creano disparità e disuguaglianze inaccettabili fra i lavoratori: una questione di giustizia sociale prima che di povertà. Quasi paradossale, per non dire grottesco, che fra gli ospiti di "60 minuti" ci fosse un ex esponente di spicco del mondo imprenditoriale ticinese riconvertito recentemente all'umanitario di stampo assistenzialista che oggi si commuove scoprendo i poveri svizzeri, con distribuzioni di zainetti scolastici ai bambini meno abienti. Mancava solo il frate delle mense dei poveri che forse non poteva quella sera.
La cosa più triste per me comunque in questa diffusione a macchia d'olio della visione pauperista dominante è l'assenza della contrapposizione di quella straordinaria saggezza che la Chiesa, quando pensa, è capace di proporre con una lettura dell'economia e del sociale come in Caritas in veritate.