Comunicazione, intelligenza artificiale e pensiero
Dopo la serie di articoli sulla comunicazione in pandemia ho continuato con altre riflessioni sulla comunicazione per la rivista di Caritas Ticino. Eccole.
N2 Giugno 2022
N1 marzo 2023
in anteprima il testo che apparirà sul prossimo numero di dicembre 2023 (sarà sostituito dalle due pagine della rivista appena pubblicata)
Con l’AI rinascono i Beatles e gli influencer
digitali, ma l’ideologia è dietro l’angolo
L’intelligenza
artificiale (AI) fa scorrere fiumi di inchiostro, per la maggior parte piuttosto
superficiale ad uso di un vasto pubblico generico che, più o meno
distrattamente, si schiera fra quelli che intravvedono scenari distopici ben
descritti dalla fantascienza e chi è entusiasta delle possibilità incredibili
che questa tecnologia offre. Poi ci sono quelli, un’èlite piuttosto contenuta,
che dibattono a vari livelli tutte le problematiche nate intorno al tema della
macchina che pensa. Fra questi c’è chi vede un problema di natura ideologica
legato non tanto alle questioni strettamente tecnologiche ma al tema del
pensiero e del pensiero umano.
Beatles
Resurrection
Per la gioia di tutti comunque ultimamente abbiamo avuto la resurrezione dei Beatles che hanno pubblicato “Now and Than” scritta e registrata da John Lennon in un demo prima di morire nel 1980. L’intelligenza artificiale utilizzata dal regista Peter Jackson nella realizzazione del documentario “Get Back” ha permesso l’anno scorso di isolare la voce di Lennon dal pianoforte che l’accompagnava ma che rendeva impossibile l’utilizzazione della registrazione su cassetta. Ci avevano provato già qualche decennio fa gli altri Beatles ma la tecnologia di allora non aveva fatto il miracolo. Il pezzo musicalmente non è niente di speciale rispetto a molte perle della discografia dei quattro di Liverpool ma l’avvenimento spettacolare mediatizzato mondialmente è stato una bomba.
Gli influencer digitali non litigano
Su questo uso dell’AI nessuno ha da obiettare. Magari altre notizie invece fanno arricciare il naso anche al grande pubblico, come ad esempio quando si legge di truffe compiute con questa tecnologia o quando Scarlet Johansson denuncia l’apparizione di una versione della sua voce generata con l’AI senza il suo consenso. Ci sono poi cose davvero strane che dovrebbero interrogare anche se erroneamente pensiamo che da noi non succederanno. Come gli influencer virtuali creati in Korea, ne ha parlato the Economist del 7 ottobre, che sembrano persone vere, offrono consigli e giudicano la realtà dando l’impressione di essere umani ma creano meno problemi degli umani perché non litigano e son amici di tutti.
Le macchine non pensano come noi
Ma ci sono all’orizzonte derive di altra natura che potrebbero avere conseguenze davvero preoccupanti relative al concetto stesso del pensare umano. Si tratta della convinzione di molti, anche addetti ai lavori, che le macchine possono pensare come gli umani perché gli esseri umani di fatto si limitano a processare delle informazioni, cosa che le macchine possono fare benissimo.
Ho seguito con molto interesse a questo proposito le argomentazioni di uno psicoanalista americano, Michael Civin, che ha partecipato a un recente simposio in ricordo della figura e dell’opera dello psicoanalista milanese Giacomo Contri. Civin ha esordito dicendo che il dibattito sui limiti o la mancanza di limiti dell’AI ci interessa perché ha sempre interessato in occidente capire cosa può o non può fare una macchina, almeno a partire dalla rivoluzione industriale, ma questo distoglie da una questione che penetra molto più in profondità di qualsiasi risposta a tali domande. E ha definito “l’artificialità intelligente” che caratterizza il dibattito (giocando sulla sigla rovesciata di IA rispetto a AI, in inglese).
Ha anche citato Giacomo Contri che parte dal concetto che "l’uomo e la relazione dell’uomo con la differenziazione dei sessi si è distinto da altri elementi dell’evoluzione grazie alla sua capacità di pensare le risposte motorie agli eccitamenti invece di semplicemente reagire motoriamente d’istinto. L’AI può riprodurre molto, perfino arrivare prima o poi a riprodurre tutte le funzioni mentali, ma non può riprodurre la nostra capacità di formulare regole, leggi, legislazioni, e in modo più specifico le leggi pulsionali."
Credo che lo sguardo di Contri, che non si è confrontato con l’AI, permetta di aprire un orizzonte interessante sulla peculiarità umana di pensare e di pensarsi che ci distingue dalle altre forme viventi a base di carbonio, e quindi a maggior ragione anche da quelle artificiali.
La deriva ideologica è umana
Fra le molte considerazioni che mi sono piaciute ne ho ritenuta una conclusiva che sintetizza con un certo sarcasmo il guaio che stiamo rischiando: chi cede il proprio pensiero all’AI, ha usato la propria artificialità intelligente per identificarsi con l’algoritmo.
Non credo che il vero pericolo imminente possa essere quello che la tecnologia delle macchine prenda il sopravvento ma piuttosto che sia la deriva ideologica, tutta umana, ad avere la meglio.