mercoledì 31 dicembre 2014

2014>2015

2014>2015

Qualche annotazione tra un anno e l'altro il 31 dicembre sembra doverosa.
Sono ancora in pieno clima natalizio e qualche riflessione l'ho affidata all'editoriale della rivista di Carita Ticino e a questo blog. Risottolineo che è interessante lo sforzo profuso per occultare il significato del Natale, quello storico, della nascita di Gesù, paura che talvolta sembra terrore.

 Presepe nella stalla davanti a casa mia nel nucleo del villaggio di Vaglio

 Vignetta sulla polemica contro i presepi in Francia che rende benissimo l'idea generale

 2014
Dal profilo artistico fra le tante cose belle che ho visto e sentito o scoperto non posso dimenticare il magnifico concerto di Jan Garbarek con l'Hilliard Ensemble a Bellinzona il 15 ottobre nella Chiesa della Collegiata.


Officium, che probabilmente ha chiuso con quel concerto questa magnifica avventura musicale fra un jazzista nordico e un coro inglese. Acustica della chiesa eccellente e i musicisti in ottima forma. Indimenticabile.

Dal profilo politico ad ampio raggio mi ha  colpito particolarmente, fra le tante tragedie mondiali, l'ascesa dello stato islamico, l'ISIS, tra Siria e Irak, con stragi, decapitazioni, schiavismo sessuale, rapimento di bambini e altre nefandezze. Mi ha colpito la logica e il pensiero che si può con buona approssimazione intravvedere nel progetto delirante di questo gruppo di fanatici che attira poveracci da tutta Europa ad unirsi nelle fila dei guerriglieri. L'ultima trovata è l'uso di Twitter per raccogliere suggerimenti su come uccidere il pilota giordano catturato recentemente.
Si potrebbe pensare che gli artefici di questa follia siano solo folli, fanatici e malvagi, mentre credo che le azioni orribili che questi compiono siano solo la logica conseguenza di un pensiero ammalato, sbagliato, da cui poi ciò che consegue è inevitabile. Siamo portati a giudicare in termini moralistici le azioni ritenute sbagliate, orribili, crudeli, efferate; invece la questione è il pensiero scelto per poi informare e determinare ogni azione. E difficile da accettare ma, sia a livello di individui, sia a livello di comunità planetaria, i malati veri, i pazzi, sono molto pochi, e la maggior parte di chi agisce "male" anche facendo cose terribili, semplicemente pensa "male". E il "pensar male" (il pensiero ammalato) è all'origine di ogni catastrofe generata da esseri umani. Anche quella dell'ISIS.

Mi auguro un 2015 più ottimistico dal profilo del pensiero.  

sabato 27 dicembre 2014

Natale: è nato Gesù

Natale: è nato Gesù

Su  tre  schermi  video  in strada nei giorni intorno a Natale appare a intervalli la scritta “Natale: è nato Gesù” firmata da Caritas Ticino. All’uscita dell’autostrada a Paradiso, o appena fuori dalla galleria del Vedeggio a Lugano e nel Centro Commerciale di Grancia, dove normalmente facciamo promozione per i nostri negozi CATISHOP. CH di Pregassona e Giubiasco, oppure per i container degli abiti sparsi da un anno in tutto il cantone. Ma a Natale abbiamo voluto usare questi spazi pubblicitari con una  frase  fondamentale  per il mondo cristiano e per tutta la cultura cristiana: a Natale è nato Gesù, per i credenti è il Salvatore venuto a salvarci, e per tutti gli altri è il portatore di un pensiero rivoluzionario di pace, di uguaglianza e di valorizzazione delle risorse umane. Con uno stile che potreb- be ricordare alcuni predicatori televisivi americani, abbiamo deciso di contribuire all’affermazione che il Natale fa memoria della nascita di Gesù Cristo e questo può essere gridato ai quattro venti senza per questo offendere nessuno, ma semplicemente ricordando che nella nostra cultura europea cristiana quel fatto non deve essere nascosto indipendentemente dal credo religioso di ciascuno.  Chi ha l’onestà intellettuale per riconoscere i diversi valori che ogni cultura ha sviluppato come punti di riferimento  nell’articolarsi della storia, sa riconoscere i valori degli altri riscoprendo e rispettando profondamente i propri: mi aveva colpito la testimonianza di una mamma musulmana che mandava i figli alla scuola cattolica perché lì si rispettava di più l’esperienza religiosa rispetto alla scuola pubblica. I cataloghi delle strenne natalizie - ho sfogliato attentamente quello della Migros che per altro ha un ottimo giornale, l’Azione, attento  alle  espressioni  culturali - sono l’esempio lampante della cura con  cui  si  nascondono  tutti i riferimenti al fatto storico della nascita di Cristo, terrorizzati di essere accusati di non rispettare le espressioni religiose diverse, non capendo che si sta facendo un torto a tutti misconoscendo fatti che hanno segnato una cultura. Superficialità e derive ideologiche sono  gli  elementi   determinanti di questo Natale privato del suo senso unico e originale, ostentato come “finalmente aperto a tutti” quando si sta invece insultando tutti indistintamente, ritenendoli incapaci di cogliere i valori di ogni cultura nella diversità dei percorsi storici. La fede qui non  c’entra, ma lo sgomento dovrebbe manifestarsi unanimemente di fronte alla riduzione ignorante e stupida di elementi interessanti per tutte le espressioni culturali o religiose che abbiano maturato una capacità di dialogo e di scambio. Di fronte all’efferatezza dei fondamentalismi deliranti a cui assistiamo quotidia- namente, con sofferenze indicibili per intere popolazioni, gruppi o comunità, la miglior risposta dovrebbe essere quella della valorizzazione del dialogo senza perdita di  identità,  anzi  sottolineando  le espressioni della diversità come opportunità per costruire modelli di convivenza e di percorsi culturali ricchi per tutti. Non una tiepida teorizzazione della tolleranza intesa come perdita della propria identità, ma una affermazione della diversità della storia e della cultura di po- polazioni  diverse considerata come  occasione interessan- tissima su cui fondare società nuove dove vivere pacificamente migliorando continuamente.
Per questo a tutti quelli che ci costringono a un Natale solo con renne, Babbi Natale, improbabili angioletti musicisti, e magari qualche zucca dimenticata da Halloween, con serenità contrapponiamo decisi: “A Natale è nato Gesù”.

sabato 29 novembre 2014

20 anni di TV Caritas Ticino



20 anni di TV Caritas Ticino

BUON NATALE TUTTO TV 

(dalla rivista CARITAS TICINO n.4 2014)



Natale 1994: va in onda su Telecampione la prima puntata di Caritas Insieme, il magazine settimanale prodotto e realizzato da Caritas Ticino, che a Natale del 2014 col numero di 1045esima puntata va in onda su Teleticino con il nome di CATIvideo.

Ha assolutamente dell’incredibile che siamo riusciti a produrre più di mille puntate passando dall’esperienza pionieristica dello studio in solaio nella sede di Caritas Ticino in via Lucchini a Lugano, allo studio con green screen della sede di Pregassona con innovazioni tecnologiche che mai avrei neppure sognato: un drone che riprende volando le interviste e una mini steadycam con uno stabilizzatore elettronico che non pesa quasi nulla ma fa cose dell’altro mondo.

Non ho buona memoria e non posso dire di ricordare davvero l’emozione della prima puntata di Natale 1994 registrata nello studio di Melide (che diverrà Teleticino) ma ricordo bene l’atmosfera nella quale ci muovevamo in quell’inizio controcorrente e astruso per un’organizzazione caritativa locale che aveva deciso di fare TV, e ci riusciva. Mons. Eugenio Corecco è la persona determinante per questo salto di Caritas Ticino sul fronte dell’informazione.


Quest’uomo straordinario aveva capito che la cosa fondamentale di ogni azione, quindi anche l’azione sociale, solidale, caritativa, è il pensiero che sta dietro e che genera l’azione. Se da una parte ha cambiato completamente la linea d’azione di Caritas Ticino dirottandola sul concetto di “risorsa” con la sua affermazione programmatica del 1992 che “nessun uomo è definito dal suo bisogno perché è molto più del suo bisogno”, ha pure chiarito che parallelamente all’azione concreta è fondamentale il lavoro di promozione di un pensiero sano che generi l’azione. Voleva che creassimo una radio privata cattolica ma noi abbiamo fatto la TV.

Nel 1994 non eravamo ancora proiettati in quel nuovo universo della comunicazione che avrebbe preso la forma della rete internet, ma anche solo nella prospettiva televisiva generalista avevamo coscienza di una missione da compiere perché un amico saggio ce la indicava come irrinunciabile. Oltre a una commossa e profonda ammirazione per il vescovo Eugenio, ho una riconoscenza grandissima per avermi aperto gli occhi su quanto il pensiero sia la vera ricchezza da cui poi può nascere un’operatività fruttifera se ci sono le condizioni propizie, ma anche se non potesse nascere niente di speciale, il pensiero è la tua ricchezza che nessuno può portarti via. Diffodere quindi attraverso la comunicazione video, idee, analisi, testimonianze e progetti è la modalità che ci è stata data per diffondere un pensiero sano attinto principalmente dalla dottrina sociale della Chiesa e da tutto quell’intreccio di intuizioni socio-economiche che abbiamo incontrato nel corso degli anni, da Muhammad Yunus a Amartya Sen, da C. K. Prahalad a Stefano Zamagni.

A Natale del 1994 il vescovo Eugenio stava testimoniando, in modo memorabile, come la malattia, la sofferenza e la morte possano essere vissute in un percorso di segni di speranza contro ogni speranza. Sarebbe morto dopo qualche mese lasciandoci un’eredità straordinaria di lucide quanto preziose intuizioni sia sul fronte della reinterpretazione della carità evangelica in un’era nuova segnata dalla relativizzazione, sia sul fronte della responsabilità nel rendere ragione della verità e della speranza che ogni Natale si ripropongono con forza e fragilità. Con l’augurio che le puntate di CATIvideo, non solo a Natale, siano all’altezza di questo compito che lui ci ha affidato prima di lasciarci.

giovedì 9 ottobre 2014

43Y marriage

43 anni di matrimonio (9.10.2014)

Fra le immagini simpatiche che raccolgo ogni giorno su twitter questa penso sia adeguata per fare gli auguri del 43esimo anno del mio matrimonio con Dani.

Siamo un po' più giovani e per ora non ho bisogno del bastone ma insomma identificarsi in questa immagine è piacevole.

Confermo in tutto e per tutto un post sul mio letto triangolare di un anno fa'.

Stamattina scrivevo a Basilio e Marion (mio figlio e morosa) alcune considerazione scaturite da questo anniversario:

Oggi con Dani festeggiamo 43 anni di matrimonio ed è proprio una bella cosa poter vivere una fase come questa dove siamo noi due i protagonisti della nostra potenziale felicità senza proiettare su altro/altri o essere fagocitati dai ruoli super attivi precedenti. Ora siamo proprio noi due a giocarci piacevolissimamente il nostro mosaico di belle cose da contemplare o su cui riflettere. Non facciamo cose speciali e neanche sempre assieme, visto che coltiviamo interessi diversi, ma lo scambio di annotazioni e giudizi su quello che percorriamo è molto gratificante e arricchente. In fondo si tratta del lavoro alla scoperta del « bello » in tutti i sensi. Questo non significa ignorare anche le note stonate con cui si è confrontati quotidianamente se si è curiosi e attenti alla realtà ampia e complessa che ci circonda; vuol dire riposizionarsi continuamente alla ricerca di un sano rapporto con la realtà che privilegi quel valore aggiunto, prevalente, di bellezza che dal micro al macrocosmo - la trascendenza credo si posizioni da quelle parti - passa per i miei rapporti interpersonali, e soprattutto quello con la mia Dani.

lunedì 29 settembre 2014

COMUNICAZIONE AMMALATA

COMUNICAZIONE: TRA EMOZIONI, ORRORI E MISTIFICAZIONI (29.9.2014)
Alcune riflessione intorno ai meccanismi di comunicazione, in particolare l'uso dell'orrore, e poi sulla difficoltà di usare la logica e il raziocinio quando i temi hanno conseguenze scottanti come l'aborto, le ho affidate a due contributi per la rivista di Caritas Ticino N.3 2014. "E SE L'ORRORE BUCA LO SCHERMO?" e "DALLA PARTE DEL TOPO" (l'editoriale) che sono collegati fra loro. 



Scioccare il pubblico, con un pugno nello stomaco, ha la sua efficacia massmediatica. Non dura a lungo l’effetto, che deve essere continuamente rinnovato altrimente si genera sempre l’assuefazione anche alle immagini più orripilanti. I telegiornali sono dei bollettini di guerra e quasi non fanno più effetto. Ma al di là della tecnica per tenere alta l’attenzione e la tensione, l’orrore funziona come veicolo di comunicazione. 

Lo sanno bene i terroristi che hanno bisogno di creare tensione e attenzione duratura. I comunicatori dell’ISIS utilizzano perfettamente questi meccanismi, perché sicuramente hanno studiato comunicazione in qualche università europea o Americana e non improvvisano per niente. Le decapitazioni di due giornalisti americani, di un operatore umanitario inglese e di una guida francese, sono state infatti usate in una precise strategia comunicativa, dilazionando a intervalli i video in rete, con annunci preventivi. E tragicamente continueranno a massacrare innocenti  fino a quando calerà l’interesse perché si comincerà ad assuefarsi anche a quell’orrore, comunicato in quella modalità.


Ma ogni tanto anche per promuovere nobili cause si casca nella trappola dell’uso di immagini raccapriccianti al fine di colpire il pubblico. Personalmente stigmatizzo questa tecnica almeno nella comunicazione attuale alle nostre latitudini, perché credo che si debba puntare sulla ricchezza dei messaggi e non sulla semplificazione emotiva. 
Ho girato la questione a un esperto di comunicazione elettronica, Lorenzo Cantoni decano della facoltà di comunicazione dell’USI.

Una comunicazione è felice se coinvolge tre livelli. Uno è quello del Logos, della riflessione che deve aiutarmi a riflettere e a comprendere meglio la realtà, è il messaggio che voglio veicolare. Ma questo messaggio ha sempre una componente di Pathos cioè di emotività. Il terzo livello è quello dell’Ethos, cioè la capacità di far sì che la comunicazione alla fine aiuti chi parla e chi ascolta a diventare migliori, e quindi ci permetta di costruire attraverso il tessuto della comunicazione una società umana più buona, più giusta, più vivibile, alla fine più felice.

Allora, in questo caso, quando il Pathos, quindi la dimensione emotiva della comunicazione, sopravanza di gran lunga la capacità di riflettere, non solo non promuove una miglior relazione interpersonale, interumana, ma addirittura può danneggiarla.
A priori è difficile sapere quale è l’equilibrio giusto, è certamente quello che noi dobbiamo cercare di fare quando comunichiamo: promuovere una crescita nel logos, nella riflessione, nella comprensione e nella verità, e una crescita nell’ethos.

Per chi come noi di Caritas Ticino, fa comunicazione elettronica, cercando di stabilire un ponte con un pubblico digitale che molto velocemente decide sulla base del primo impatto se concedere almeno un inizio di « trasmissione » o se chiuderla sul nascere con un click, la tentazione di puntare sull’emozione, sul pathos, è davvero grande. Impresa ardua puntare sul logos, sui contenuti, sul messaggio, proponendo emozioni autentiche, ma credo che proprio questo faccia la differenza su tempi lunghi, ammesso di trovare le strategie per raggiungere e rimanere in contatto col pubblico.  
Nel cinema di qualità, i grandi registi che hanno scritto la storia di questo straordinario mezzo di comunicazione, credo abbiano dovuto giostrare fra logos, pathos e ethos, riuscendo a creare emozioni forti come compendio e non a detrimento dei contenuti. Anzi probabilmente nei capolavori del cinema, le emozioni, i contenuti e il rapporto col pubblico sono fusi in un unico registro che prende forma e si modifica continuamente nelle mani del regista che modella una sorta di magma comunicativo. Penso a Stanley Kubrick, maestro insuperato, in un capolavoro come Eyes Wide Shut, il suo testamento cinematografico, dove la commozione di fronte al bello, al rapporto fra sogno e realtà, la descrizione di un universo ammalato, la mirabile maestria nell’afondo del rapporto di coppia, compongono un momento magico di comunicazione che dovrebbe essere il punto di riferimento di chi voglia sperimentare l’eqilibrio fragilissimo ma essenziale fra logos, pathos e ethos.






Penso che l’aborto sia la soppressione illecita di una vita che andrebbe difesa; lo penso a partire da una considerazione che catalogherei nella divulgazione scientifica: se un topo è un topo per tutti, scienziati e non, cominciando dal concepimento e cioè da una cellula che contiene il suo DNA e tutte le informazioni che concernono il suo essere un topo a tutti gli effetti, beh allora non ho motivo alcuno per pensare che non ci sia una precisa analogia con un essere umano.  Che poi quell’umano sarà in grado di rovinarsi l’esistenza o renderla felice, molto più di quanto possa riuscire a fare il topo, mi sembra essere irrilevante rispetto alla questione centrale di tutto il dibattito sull’aborto: quando comincia la vita di tutti gli esseri, di qualunque specie incontrabile sul nostro pianeta. Forse non è una argomentazione abbastanza nobile, non è filosofica né metafisica, ma insomma molto concreta: se quello è un topo allora quell’altro è un essere umano.

Ho letto recentemente un articolo, che consiglio vivamente*, di una antiabortista atea canadese,  Kristine Kruszelnicki direttore esecutivo di Pro-Life Humanists, che fra l’altro dice:

L’aborto è una questione emotivamente complessa,[...] ma non moralmente complessa: se i concepiti non sono esseri umani ugualmente meritevoli della nostra compassione e del nostro sostegno, non è richiesta alcuna giustificazione per l’aborto. [...] Tuttavia, se i concepiti sono esseri umani, nessuna giustificazione dell’aborto è moralmente adeguata, a meno che non si trovi una ragione per giustificare la soppressione della vita di un bambino o di qualunque essere umano in circostanze simili.

Uccideremmo un bambino di due anni il cui padre abbandona improvvisamente la madre disoccupata per alleggerire il budget della madre o evitare che il bambino cresca in povertà? Uccideremmo una bambina dell’asilo se ci fossero indicazioni del fatto che potrebbe crescere in una casa violenta? Se i concepiti sono davvero esseri umani, abbiamo il dovere morale di trovare modi misericordiosi per sostenere le donne, che non richiedano la morte di una persona per risolvere i problemi dell’altra.


Chiarito questo, dopo si può discutere sui diritti del topo e dell’essere umano ad essere difesi e non eliminati per una serie di ragioni non necessariamente connesse con la natura intrinseca a quei due esseri.  E quando una società, pur riconoscendo l’evidenza dell’inizio della vita dal suo concepimento, decidesse comunque la soppressione per ragioni ritenute prioritarie, dovrebbe avere la coerenza,  il cinismo e la crudeltà per considerare che l’eliminazione può essere operata prima o dopo la nascita. Magari dopo un periodo di valutazione delle condizioni di vita già sperimentate. Sembra uno scenario horror/fantascientifico ma è solo la conseguenza logica e coerente per rapporto alla questione iniziale sull’inizio della vita e sul dovere di proteggerla o meno.
L’ideologia e il sentimentalismo rendono difficile comunicare e dialogare su temi come questo perché, come dice Lorenzo Cantoni, esperto di comunicazione, (articolo sopra) il Pathos, il livello emotivo, non dovrebbero avere il sopravvento sugli altri aspetti della comunicazione, Logos e Ethos. È meno complicato di quel che sembra. Proprio in quelle pagine non ho volutamente citato un esempio di orrore rappresentato per colpire a livello emotivo invece di privilegiare la riflessione sul significato delle cose. Nelle campagne antiabortiste, soprattuto dove, come negli USA, il Pathos mi sembra abbia nettamente il sopravvento, su twitter ad esempio,  si utilizzano a volte immagini raccapriccianti di feti abortiti. È  una tecnica comunicativa forse di una certa efficacia, ma sbagliata e irritante per quelli come me che preferiscono approfondire concetti elementari solidi come la natura di un topo per capire quando abbiamo cominciato ad esistere come esseri umani.



* Kristine Kruszelnicki
Versione originale inglese da Aleteia Pro-LifeAtheist Presents a Powerful Secular Case Against Abortion