Contemplare la fragilità per vedere l’infinito
Natale è la nascita di Gesù e la sua prima notte di vita nel presepe è la rappresentazione dello stupore e della contemplazione da parte di alcuni che in modi diversi sono venuti a conoscenza di quell’evento. Dalle persone semplici, i pastori e i bambini, agli intellettuali, i magi d’oriente, che sono venuti da molto lontano. Sono venuti in quella stalla di Betlemme ad adorare un bambino che avrebbe assunto su di sé il male del mondo in una prospettiva di redenzione e di salvezza per l’umanità. Questa storia, raccontata e dipinta come poche, ha valenze diverse a seconda del contesto culturale e religioso a cui si appartiene: per il credente il bambino nella mangiatoia è Dio fattosi uomo, mentre per gli altri quella nascita segna l’inizio di una esperienza religiosa che dopo duemila anni conta un miliardo e mezzo di fedeli.
Ma ci sono alcuni elementi che indipendentemente dalla fede personale, mi sembra possano essere di un certo interesse per tutti.
Il fatto raccontato, descritto, dipinto, scolpito e rappresentato migliaia di volte, mette in evidenza l’elemento straordinario della condizione di quel bimbo portatore di una promessa di salvezza e di riscatto dal male per gli esseri umani, di cui, prendendo la natura, assume la condizione del neonato che non è in grado neppure di sopravvivere da solo. Paradosso e sproporzione fra la situazione del bambino appena nato e la sua promessa altisonante. Ma chi va a trovarlo per vederlo, per contemplarlo, per adorarlo, non sembra toccato da questa contraddizione, anzi il racconto descrive stupore e serenità da parte di tutti. E quelli che sono andati a Betlemme a vedere Gesù racconteranno ad altri quell’esperienza. Abbiamo motivi diversi per spiegare quel comportamento: dai segni astrali, come la stella cometa, interpretati dai saggi, alle apparizioni di angeli o persino all’autosuggestione per un bisogno innato di trascendenza. Ma in fondo contemplare una situazione paradossale dove fragilità e potenza coesistono è salutare, è saggio, perché evidenzia l’equilibrio della contrapposizione su cui si fonda la natura e in fondo tutta la realtà. Siamo situati ad esempio in mezzo fra l’infinitesimamente piccolo e l’infinitamente grande, dalle particelle che costituiscono la materia, quindi anche il nostro corpo, alle smisurate galassie, e l’incapacità di valutare questi salti di dimensione è solo un indicatore dei limiti della percezione di una realtà forse troppo complessa per gli esseri umani. E in fondo ogni processo dinamico e creativo si fonda su trasformazioni dove la fragilità estrema è una componente necessaria in un certo momento, alla stessa stregua della manifestazione della più grande potenza.
Contemplare ancora oggi in un affresco di Giotto o in un presepe antico quell’immagine di fragilità portatrice di una promessa grandiosa come la salvezza dell’umanità, mi pare possa servire a riproporre un pensiero aperto alla ricerca dell’equilibrio che la nostra persona deve trovare posizionandosi per rapporto alla realtà che la circonda.
Domandarci dove siamo e in che tipo di relazione siamo con la realtà, è il continuo lavoro necessario a farci avanzare nella conoscenza e a farci maturare nella coscienza di cosa siamo. Contemplare credo significhi aumentare la distanza da se stessi, allontanarsi da se stessi, per vedere meglio dove si è situati, per guardarsi come se fossimo “altri”, un po’ come nelle esperienze di premorte quando si ha l’impressione di uscire dal proprio corpo e di guardarsi.
Gli esseri umani sono speciali nel sapersi rovinare l’esistenza, cioè nell’impedirsi di raggiungere l’obiettivo della felicità. Credo che la chiave di volta per andare verso la felicità stia nel capire cosa sia il massimo bene per se stessi, che è la strada per raggiungere la pienezza, o il compimento, la risposta al più profondo bisogno di significato della propria esistenza. Credo possa servire contemplare il presepe e poi guardare le persone che si amano con lo stesso sguardo, prendendo quella distanza da se stessi necessaria per risituarsi nella posizione più armonica per cogliere le indicazioni e i segnali che aiutano a capire se siamo posizionati adeguatamente. Siccome è in gioco la nostra felicità e in fondo anche quella di chi amiamo, vale la pena di provare anche solo per qualche istante a contemplare un presepe, anche solo per vedere se funziona.
All'incontro natalizio degli operatori di Caritas Ticino il 19.12.2017 nella sede di Pregassona ho raccontato più o meno quello che ho scritto in questo post. Ecco la registrazione audio di 16 minuti e mezzo.
Ecco una aggiunta a questo post dopo qualche settimana, perché su un altro registro, quello della comunicazione attuale di atmosfere natalizie legate alla tradizione, ho avuto il piacere di collaborare attivamente alla realizzazione di un video prodotto da Caritas Ticino nel quadro della sua trasmissione televisiva settimanale su Teleticino e su youtube. Tre artisti con l'associazione Materiale Elastico hanno proposto in Capriasca alcune iniziative di cui raccontano nel video Natale: tradizione e comunicazione con Piera Gianotti, Alice Noris e Antonio Zitarelli. In onda il 6 gennaio 2018, è stato una occasione di riflettere su questioni di linguaggio.