martedì 11 marzo 2014

OLOCAUSTO

MAI PIÙ L’OLOCAUSTO (31.1.2014)


La giornata della memoria è sempre l’occasione per piegarsi sul non senso dell’olocausto, degli olocausti. Quello ebraico è certamente emblematico, forse perché ci è così vicino, delle derive di una visione fuorviante che diventa pensiero dominante e può generare ogni tipo di efferatezza.
 
Ruth Fayon a CATIvideo riproposta dopo 10 anni.
Nel 2004 avevamo intervistato nello studio video di Caritas Ticino, Ruth Fayon, ebrea scampata da Auschwitz, deceduta negli anni successivi a questo incontro assolutamente straordinario. Forse il più toccante in vent’anni di produzione televisiva. Una testimone capace di commuovere per la drammaticità dell’esperienza, sorridendo e affermando il valore della dignità della persona come assolutamente inalienabile. Il video di 18 min. è su youtube.  

Museo ebraico di Berlino

Un anno fa, dopo aver visitato il museo ebraico di Berlino, uno dei luoghi che mi hanno più colpito in tutto ciò che ho visto in vita mia, scrivevo nell’editoriale della rivista di Caritas Ticino di aprile:

Persino l’architettura parla.
La prima volta che ho visto i grattacieli di New York ho capito in modo tangibile e inequivocabile che le linee architettoniche comunicano, parlano. Ma più drammaticamente l’ho sperimentato di recente a Berlino girando per il museo ebraico. Le scelte architettoniche di quel luogo della “memoria” sono magistralmente calibrate per far vivere al visitatore le sensazioni di disagio generate dall’incertezza e dall’instabilità, proposte come esperienze sensoriali. L’inclinazione dei pavimenti, le linee e la loro accentuazione, la luce e il buio, le forme e persino la temperatura dell’ambiente, e i “Void” (vuoto) che sono quasi indescrivibili, valgono da soli il volo a Berlino.Una torre di 24 metri buia e gelida (senza climatizzazione), con una fessura in alto da cui penetra una lama di luce, o una distesa di volti metallici stilizzati in una sorta di fossa comune. Non credo ci siano molti luoghi al mondo che possano comunicare in un solo istante l’angoscia del non senso dell’olocausto. E di tutti gli olocausti consumati nel mondo e nella storia dell’umanità, non perché ci sono i mostri, ma perché tante persone “normali” come noi hanno aderito a un pensiero devastante. È successo, continua a succedere, ma vorremmo che non succedesse più.






  


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