domenica 26 giugno 2016

Mimi Lepori ci ha lasciato

MIMI SE NE È ANDATA

Con grande affetto la ricordo col video girato a Roma un mese fa durante il pellegrinaggio dal Papa con 230 persone della San Gottardo, ospiti, collaboratori, famiglie e amici. Bello che Giona abbia filmato e Dani abbia raccolto questo gioiello. (Mia presentazione in video)
La testimonianza di Mimi è straordinaria per la carica di speranza e di fede, una sorta di testamento raccolto certamente dal vescovo Eugenio.


Cosî l'ho ricordata per il GdP
RICORDANDO 40 ANNI CON UN’AMICA

Con Mimi se ne va un altro pezzo della mia storia, una persona che ha segnato la mia evoluzione di pensiero, con il vescovo Eugenio Corecco che ha tracciato il solco di un ripensamento della dimensione della carità, e con Carlo Doveri. Tre amici che ora è bello pensare assieme in una dimensione dove la conoscenza e la speranza si intrecciano in una armonia senza tempo.
Con Mimi e con Carlo abbiamo condiviso il desiderio di far nostro il messaggio straordinario del vescovo Eugenio che aveva affermato: “L’uomo è più del suo bisogno” aprendoci lo sguardo a un’attenzione agli altri non più centrata sui bisogni ma sulle risorse e sulla dignità delle persone. Una strada nuova che Mimi aveva fatta sua sia negli incontri personali, che nell’organizzazione delle strutture di cui si occupava, e nei progetti in paesi lontani. Con fatica e misurando spesso le difficoltà che ridimensionano le aspettative. Ma siccome volava alto, come le aquile e non si accontentava di razzolare nel pollaio, aveva sempre un orizzonte ampio dove sperimentare e cercare le soluzioni praticabili. Voleva cambiare le strutture per realizzare un pensiero sociale sano carico di speranza per tutti, e cercava tutti i mezzi per riuscirci. Per questo ha fatto politica.
Negli anni settanti abbiamo cominciato a collaborare e la lista delle cose fatte assieme è davvero lunga. I giri nelle parrocchie a animare serate con l’audiovisivo “Bambino dove vai” che si concludevano col caricare assieme pesanti amplificatori, altoparlanti, schermo e proiettori, domandandoci spesso “ma cosa stiamo facendo”. L’accoglienza in Ticino dei profughi vietnamiti, i Boat People, l’aveva voluta lei, e mi aveva chiamato nel 1980 a Caritas Ticino per lanciare un’azione di accoglienza con una metodologia nuova di gruppi parrocchiali e poi il centro culturale vietnamita a Sorengo, percorrendo strade nuove sul fronte dell’integrazione di persone di una cultura così lontana.
Il terremoto in Irpinia con viaggi improbabili, dormendo nel sacco a pelo nel caravan lasciando il portellone aperto.
Nell’88 la nascita dei programmi occupazionali per accogliere i disoccupati più “difficili” quando non si parlava ancora di disoccupazione in Ticino.
Anche l’avventura televisiva di Caritas Ticino è cominciata con lei a Natale nel 1994 negli studi di Melide che sarebbero diventati Tele Ticino, qualcosa di incredibile anche oggi ma che vent’anni fa sembrava fantascienza. Abbiamo molti contributi video di Mimi e un giorno li rimonteremo.
Quando lasciò Caritas Ticino lanciandosi in nuove avventure sociali con la sua agenzia Consono o con la Fosit, e con la fondazione san Gottardo che aveva contribuito a creare e che ha condotto fino ad ora, abbiamo continuato a riflettere assieme sulla metodologia dell’intervento sociale e a collaborare ad esempio con progetti a sostegno di poveri in diversi angoli del mondo che lei aveva scovati nei suoi viaggi.
E fino all’ultimo ha lottato avendo ancora molti progetti da realizzare.

Così nell’ultima sua prodezza, andare in pellegrinaggio a Roma nonostante fosse gravemente ammalata, c’era tutta la carica di chi guarda sempre lontano. La sua testimonianza, registrata nel video “Dal Papa per i 20 anni della San Gottardo”, che rivedremo su Tele Ticino sabato prossimo alle 18:00, o su youtube sul canale di Caritas Ticino, è una pagina straordinaria di speranza, di inno alla vita e di profonda capacità di affidarsi al disegno di Dio.

giovedì 23 giugno 2016

100 anni di una chiesa e di mio padre

100 anni di una chiesa e di mio padre

Domenica 19 giugno si sono celebrati i 100 anni della chiesa di Vaglio, dove abito. E lunedì 20 abbiamo ricordato in una Messa i 100 anni che avrebbe avuto quel giorno mio padre. La chiesa di Vaglio quindi veniva consacrata in maggio 1916 e un mese dopo nasceva mio padre Ignazio. Mi ha fatto un certo effetto scoprire questo legame insospettato fra due anniversari così vicini a me. Perché oltre ad abitare a Vaglio da trentaquattro anni, quella chiesa in gioventù mi piaceva molto e passando in moto con Dani, poco dopo che ci eravamo conosciuti nel 1968, le dissi che ci saremmo sposati lì. Cosa che poi non si è avverata perché ci siamo sposati a Friburgo. Per celebrare il centenario della chiesa si è fatta anche una processione col Vescovo per le strade del paese e nella parte vecchia dove abitiamo ho potuto fotografare il passaggio avendo come sfondo la nostra legnaia e stalla davanti alla quale Dani ha allestito un altarino con un'icona del volto di Gesù. Una espressione religiosa popolare che oggi risulta poco legata al contesto contemporaneo che in passato invece esprimeva il legame della vita della comunità in armonia con le stagioni e coi ritmi liturgici: ma questo in una società rurale fortemente caratterizzata dalle espressioni di fede. La banda davanti alla processione era l'orgoglio del villaggio e alla portantina con la statua di sant'Antonio si alternavano gli uomini forti, un onore portarla. Oggi può suonare anacronistico ma queste espressioni della tradizione religiosa ci ricordano un modello non secolarizzato di società che aveva forti punti di riferimento che si esprimevano nella rappresentazione scenica anche se oggi magari sembrano solo pittoreschi, come nelle foto dalle mie finestre.



Un secolo è una convenzione del sistema decimale, se ne usassimo un altro il numero 100 ci farebbe molto meno effetto. Ma per noi un secolo è una quantità di anni enorme, anche perché sono pochi a festeggiarne il compleanno. Del resto mio padre ci ha lasciati nel 2001 poco prima del cambiamento epocale segnato dall'attentato alle torri gemelle di New York (editoriale della rivista di Caritas Ticino).
Forti cambiamenti in un secolo su molti fronti, dal tipo di società all'esplosione delle possibilità di comunicazione, dalla tecnologia più sofisticata alla perdita di senso dell'esistenza. Oggi sono andato a salutare una cara amica che sta morendo e mi rendevo conto ancora una volta di quanto siamo disarmati di fronte alla finitezza, di fronte al confronto inevitabile con la morte. nel 1916 quando è nato mio padre non credo che avessero chissà quale strumentario per metabolizzare l'idea molto più concreta e vicina di ora, della morte delle persone care e della propria morte, ma avevano dei punti di riferimento inequivocabili in ordine alla fede e all'idea di destino personale "buono" perché amati da un Dio buono, per cui ad esempio la tragedia della mortalità infantile era accettabile nelle famiglie anche se dolorosissima. Noi a un secolo di distanza siamo completamente persi e solo in alcuni momenti speciali e rarissimi di vita comunitaria, riusciamo a sopportare l'idea del distacco.
Probabilmente è irriverente ma credo che un'immagine possa rendere l'idea del continuo disperato e goffo tentativo di scardinare l'idea della morte addomesticandola persino come un oggetto di marketing. Ma non funziona.