DACCI OGGI IL NOSTRO… (23.1.2014)
Il pane quotidiano è buona cosa cercare di guadagnarselo non aspettando
miracolose piogge di manna o di dollari. Persino san Paolo, teorico
della Provvidenza che assicura non manchi mai a chi crede, dice anche: chi non vuol lavorare neppure mangi (2ts,10)
Qualche giorno fa’ ascoltavo con molto interesse un’intervista
radiofonica a Iris Bohnet, Svizzera, ricercatrice in economia
comportamentale di Harvard, che disquisiva su questioni di genere legate
all’economia e si poneva la domanda se le Lehman Sister avrebbero fatto
meglio dei Brothers. Se fossero state donne sarebbe o no saltata la
finanza mondiale nel 2008? Fantastico!
Ma la riflessione che esterno qui, e faccio ormai da tempo, parte dal
mio orizzonte più ridotto, il catino ticinensis: come mai un numero
piuttosto elevato di attori dell’economia locale sono poco efficienti? A
volte mi domando persino come faccia l’economia locale a sopravvivere.
Non sono un analista economico e non ho strumenti speciali di indagine
ma l’esperienza diretta in questi ultimi anni, in cui mi è capitato
professionalmente di seguire un certo numero di ditte che a livelli
diversi costruiscono e producono, mi ha messo davanti a un panorama
spesso desolante di potenzialità disattese, di produzione zoppicante, di
obiettivi mancati, di superficialità e approssimazione, di tempistica
aleatoria. Le lodevoli eccezioni evidentemente sono la speranza e forse
il motore che evita la catastrofe, ma la massa che produce a
rallentatore continua ad interrogarmi. Mi intriga infatti il modo di
concepire l’economia, la produzione e il guadagno di tutti coloro che si
rivelano inefficienti anche se magari hanno nomi importanti e sono
presenti sul mercato locale da sempre, senza fallire e scomparire. La
costatazione sorprendente è il fatto che a essere poco efficienti non
credo ci si guadagni niente, non c’è un vantaggio. Ma allora perché così
tanti artigiani o imprenditori sono carenti, molto carenti, in ordine
alla qualità e ai ritmi di produzione? Alcuni elementi possono spiegare
in parte questo mini-fenomeno come ad esempio la mancanza di una forte
pressione da parte di una agguerrita e/o spietata concorrenza, oppure le
condizioni più o meno sempre floride del nostro mercato che anche
quando piange miseria, rispetto al resto del mondo, sta benissimo; ma
queste spiegazioni non bastano. Allora provo, per analogia con altri
fenomeni di carattere comportamentale, a formulare un’ipotesi. Gli
esseri umani scelgono prevalentemente le scorciatoie del disimpegno e
della semplificazione, con meno investimento di energie e di fatica,
solo perché commettono un errore fondamentale imperdonabile: credono di
guadagnarci. Pensano cioè che ci sia un vantaggio diretto e sicuro per
la propria persona nel limitare il più possibile il proprio investimento
nel raggiungere gli obiettivi che si presentano continuamente sia nella
vita in generale sia nella produzione economica. La nozione di guadagno
e di vantaggio che, erroneamente si crede sia espressione di chiusura e
di egoismo, è la nozione base, il catalizzatore, di qualsiasi azione
umana: non facciamo nulla se non crediamo di averne un vantaggio, anche
nelle cose più nobili e di natura ideale. Persino chi eroicamente dà la
sua vita per gli altri lo fa sulla base della nozione di un guadagno
personale nel senso che quel gesto eroico gli risulta come l’opzione
migliore per la propria realizzazione, per il proprio destino, per
quanto questo sia proiettato verso il benessere degli altri.
Ma allora, tornando alle ragioni della poca efficienza di molti
imprenditori locali, devo ritenere che questi sbaglino nella valutazione
del proprio guadagno: credono che limitare il proprio impegno il più
possibile, porti un beneficio in termini di vantaggio economico o di
condizioni lavorative o di sicurezza per il futuro o chissà quale altro
effetto positivo. Insomma ancora una volta la conclusione è che
all’origine di tutti i guai e i pasticci che gli esseri umani riescono a
combinare c’è un pensiero sbagliato riguardo ai presunti vantaggi che
si otterranno con quell’azione. La scelta per la mediocrità, che va per
la maggiore, che impedisce la manifestazione del potenziale
straordinario insito nella natura umana, è dovuta a questo errore
riguardo al presunto vantaggio e solo in seconda battuta si rivela quale
una sbandata di ordine morale o etico.
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