SIAMO TUTTI ORBI (28.1.2014)
Ho incontrato molte persone nella mia vita, e ho fra loro molti amici,
che rientrano nella categoria dei portatori di handicap, uno è anche un
mio collega da molti anni, che è cieco dalla nascita. La cosa non gli ha
impedito di diventare psicologo e psicoterapeuta, responsabile del
servizio sociale di Caritas Ticino, giornalista televisivo, diacono
permanente, avere moglie e figlie ecc ecc.
Spesso con lui ho avuto l’opportunità di affrontare la grana del limite
che chiamiamo handicap e di rinforzare una convinzione che cerco di
esplicitare in sintesi: siamo tutti orbi. Spero che lui scriva un libro
con questo titolo sviluppando l’idea che l’handicap “l’èl men da la
cavagna” (scritto in buon dialetto significa “il minor male” o
letteralmente “è la cosa meno importante del cesto”). Intendiamoci non
voglio sminuire le difficoltà quotidiane che un handicap può procurare,
rendendo la vita difficile, talvolta insopportabile. Se sei cieco, ad
esempio, devi evitare i tombini e le gru posteggiate malamente sui
marciapiedi e sostanzialmente rischi letteralmente la pelle ogni giorno.
Ma sono convinto che il guaio vero è il pensiero che si sviluppa
intorno all’handicap, un pensiero ammalato, a volte messo peggio della
difficoltà da cui è generato. Non mi interessano e non mi affascinano i
ciechi che tirano con l’arco, banalmente perché anch’io ad esempio non
faccio sport estremi perché non ho le condizioni psico-fisiche per
farli, ma siccome non mi hanno affibbiato una definizione relativa a
questo mio deficit oggettivo, passo inosservato e nessuno mi costringe
ad attraversare la strada anche quando non voglio farlo come invece
succede ai ciechi segnalati dal bastone bianco. Il pensiero ammalato è
quello che categorizza, definisce, secondo il deficit, il malanno,
l’accidente, l’handicap. Per questo i ciechi dovrebbero avere un mucchio
di cose in comune, diverse, se non addirittura in contrapposizione, con
l’altro gruppo, quello dei vedenti. Considero quest’idea l’errore su
cui si è costruita la mitologia dell’handicap. Ritorno alla mia
esperienza personale per esemplificare: tutti più o meno hanno qualche
problemino di salute, io ho il sistema linfatico sballato, quindi non
faccio più da molti anni windsurf (che mi piaceva) e neppure turismo
perché, anche con le calze compressive che dovrò portare finché campo,
non posso camminare a lungo altrimenti ho dolori insopportabili. Con gli
altri umani col sistema linfatico fottuto condivido solo il desiderio
che qualcuno scopra una cura che finora non c’è. Punto e basta. Poi
immagino che fra questi ci sia ad esempio qualche intellettuale con cui
mi piacerebbe scambiare opinioni e altri invece con cui sono felice di
non aver nulla a che fare: insomma cosa c’entra la difficoltà di salute e
le sue conseguenze sul modo di vivere, con ciò che mi definisce davvero
nella mia identità profonda e può determinare qualche forma di
appartenenza ad un gruppo o a una categoria? Assolutamente nulla.
Neppure quando la difficoltà è così grave da condizionare fortemente
tutta la vita. Dante, il collega cieco che, a qualche metro dalla mia
scrivania, litiga spesso col suo computer insultandolo, perché è uno
strumento fondamentale per lui, ma lo è anche per me, si arrabbia con
certe interfacce informatiche primitive che sono ancora diffuse,
aspettando miglioramenti che purtroppo sono lenti a prodursi in un
mercato balordo. Per me lui non è cieco, nel senso che questa
caratteristica è l’ultima delle cose che mi interessano di lui, anche se
è ragionevole non dimenticarsene nelle cose concrete che rendono più
vivibile il quotidiano, ma mi sono sempre sembrati dettagli di poco
conto, come sicuramente per lui il fatto che io non possa più fare
windsurf o escursioni turistiche.
Ciò che conta veramente è la capacità di pensare e di pensarsi, non
essendo definiti da dettagli ma dalla nostra unicità di esseri
potenzialmente geniali. Il genio è colui che pensa qualcosa di
totalmente nuovo, è molto difficile che avvenga ma questa è la
potenzialità degli esseri pensanti. Un pensiero sano addomestica la
marea di stupidaggini e di cose di poco conto, e non permette che siano
queste a definire un essere umano che, come diceva il nostro saggio
Vescovo Eugenio Corecco “è molto più del suo bisogno” (foto del tabellone con la citazione).
Con questa premessa poi va bene il film di Soldini sull’esperienza di
alcuni ciechi, che sostanzialmente scopre l’acqua calda dipingendoli
come persone normali con le loro genialità e le loro patologie, né più
né meno dei loro confratelli vedenti. E va bene anche andare a
infilzarsi una mano con la forchetta nelle esperienze di ristorante al
buio che magari fanno capire davvero cose che dovrebbero essere evidenti
per tutti, ma alla fine tutto si gioca sulla coscienza di essere unici e
irripetibili con una grande responsabilità di fronte a tutta l’umanità:
una responsabilità sul pensiero più o meno sano che siamo capaci di
produrre a partire dalla coscienza di essere tutti orbi o tutti vedenti
sapendo bene che questa condizione è un dettaglio irrilevante.
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