domenica 13 novembre 2022

Cello with 20 strings

Aggiungere16 corde simpatiche al violoncello


Avevo già fatto questa aggiunta sul mio violoncello elettrico ma era stato relativamente facile perché non c'era la cassa ma solo un supporto di legno massiccio e quindi non c'era pericolo di compromettere la struttura e il suono originale. 
Con un violoncello normale invece, modificare o toccare la cassa armonica è un'operazione ad alto rischio. Ho quindi meditato lungamente prima di decidermi a "operare". Ho letto e guardato su youtube tutto ciò che avrebbe potuto aiutarmi nel progetto e ho scoperto fra l'altro che alcuni liutai e musicisti hanno un violoncello con corde di risonanza che chiamano Campanula.


Ecco il mio violoncello, un regalo apprezzatissimo di mio nipote Kim, con l'aggiunta delle 16 corde simpatiche.

Ed ecco le varie fasi della modifica del violoncello.
La cosa più complicata è stata decidere dove fosse possibile ancorare i supporti delle 16 corde simpatiche che, quando sono accordate, generano una forza di trazione molto elevata che può causare disastri. Con una piccola telecamera ho esplorato l'interno della cassa trovando un rinforzo di legno in corrispondenza dell'attaccatura del manico del violoncello, spesso alcuni centimetri, e di 8/9 x 11/12 cm, incollato tra la tavola e il fondo. 

Mi è sembrato un supporto in grado di sopportare la trazione delle nuove corde.
Per la costruzione sono partito da un manico di ombrellone da giardino, legno duro e ben stagionato! Se da "liutaio per divertimento" (Label: Lutist for Fun) mi trasmormassi in scrittore per divertimento potrei iniziare cosÌ una novella: Non eliminare mai un manico di ombrellone perché un giorno potrebbe diventare l'attacco di 16 corde simpatiche del tuo violoncello.

I buchi per i piroli (peg) si seguono su una linea curva per avere lo spazio per girarli e affinché non siano vicini al manico a sinistra dove passano le dita per suonare le note alte. Ho utilizzato dei piroli per violino da 1/8.
La fase successiva è stata quella più rischiosa che quindi mi ha preoccupato: mettere le viti per fissare i supporti dei piroli al violoncello. Ho fatto i buchi e poi con la minitelecamera ho verificato dove uscivano all'interno. Inoltre guardando quando usciva la punta all'interno ho potuto misurare esattamente la lunghezza delle viti necessarie. In effetti ho dovuto cambiare la posizione di una delle 4 viti perché rischiava di incrociarne un'altra.
Ho colorato i due supporti e li ho avvitati. È stato il momento cruciale perché non vedendo, se non con una telecamera con una risoluzione molto bassa, come reagiva il supporto di legno interno al violoncello ho avuto fino all'ultimo giro di vite paura che si spaccasse. Forse una paura eccessiva perché in effetti tutto sembra tenere benissimo. 
Ho fatto un prototipo di ponticello in bamboo e ho fatto delle prove con corde da 0,2 mm per vedere quale inclinazione dargli per avere più facilmente una scala fra la nota più alta e la più bassa non giocando così solo sulla tensione ma anche sulla lunghezza. Per le corde utilizzo dei rocchetti di filo di acciaio che costano poco in Cina via Aliexpress. E poi ho costruito una cordiera (Tail piece) con un resto di manico di Shamizen, usato, accorciandolo, per costruire un Kucho, a cui ho lasciato per ricordo la spina di incastro. La cordiera è fissata al bottone (Tail gut) del puntale (End pin) con una corda come la cordiera delle 4 corde principali.
Ho allargato la base del ponticello (bridge) e costruito un capotasto (nut) che passa sotto al manico e sostiene i due gruppi di 8 corde.
E finalmente ho posizionato il capotasto e il ponticello e ho montato le corde. Ho dovuto mettere dei supporti fra iI  ponticello principale (quello delle 4 corde) e il ponticello di quelle di risonanza, perché quest'ultimo non manteneva la posizione giusta a causa dell'inclinazione delle corde simpatiche.
Ho dovuto fare un ritocco perché su alcune corde simpatiche c'era una leggera vibrazione: ho limato il capotasto in modo da ridurre la superficie di appoggio delle corde. E poi ho rialzato il ponticello per avere una inclinazione netta delle corde dal ponticello alla cordiera. E per aumentare quell'effetto che garantisce la pulizia del suono, ho aggiunto uno spessore fra le due cordiere in modo da schiacciare verso il basso quella secondaria. 
E alla fine funziona bene e le 16 corde simpatche hanno un suono pulito
L'estetica del violoncello non ci guadagna, soprattutto per il grappolo di piroli all'attaccatura del manico, ben poco elegante, ma per avere 16 corde simpatiche in più si può sopportare. Almeno spero!

Ecco la registrazione del suono "con e senza" corde di risonanze.



mercoledì 5 ottobre 2022

ZITHER 32 strings

Restaurata e elettrificata una vecchia Zither zurighese


Mio nipote Kim mi ha regalato tempo fa una Zither piuttosto vecchia da restaurare. L'ho scoperchiata, ho rinforzate varie parti di legno che si erano rotte o indebolite e l'ho rimontata elettrificandola.
Ecco il risultato sonoro con un uso sicuramente molto diverso da quello per cui era pensata originalmente. Ma l'elettronica con un po' di effetti permette di fare cose speciali.



Ecco le etichette che attestano la provenienza zurighese della Zither.

Ecco lo stato iniziale della mia Zither

27 corde + 5 melodiche, quindi 32. 
Ho avuto la fortuna di trovare su ebay una muta di corde d'epoca di un modello a 42 corde. Non è stato semplice capire come passare da 42 a 32 corde ma alla fine con diverse tabelline comparative ce l'ho fatta.

Ecco alcuni passaggi del restauro con l'elettrificazione con un microfono a filo lungo 22 cm messo sotto il ponte e il controllo del volume e del tono posizionato lateralmente sulla cassa armonica.
Ed eccola finita


mercoledì 28 settembre 2022

Formazione dell'equipe di Caritas Ticino

 L'operatore sociale a Caritas Ticino

Sono stato invitato a un incontro di formazione dell'équipe di Caritas Ticino il 22 settembre 2022 sul tema "L'operatore sociale di Caritas Ticino" con Graziano Martignoni. Mi è stata chiesta una testimonianza personale. Eccola


Il testo dell'intervento.

Per far capire la mia esperienza di operatore sociale di CATI, evidentemente con un ruolo un po’ speciale ma pur sempre un operatore sociale, devo fare una sorta di premessa un po’ biografica, non solo professionale.

Ho vissuto il 68 con intensità. Nel 68 ho conosciuto colei che poi tre anni dopo avrei sposato e abbiamo festeggiato i cinquant'anni di matrimonio l'anno scorso. Abbiamo vissuto intensamente questa rivoluzione culturale, per me anche musicale, per cui ho suonato per anni in band e mi sono occupato di musica, di arte con una grande curiosità, sognando come molti in quegli anni, grandi cambiamenti, grandi rivoluzioni. Avevo i capelli lunghi in un periodo in cui non erano bene accetti ad esempio quando passavi una frontiera. Ho vissuto un periodo molto particolare, molto interessante.

Preparavo gli esami di maturità federale, quindi studiavo da solo e durante una prima parte di esami a Lugano, uno che li faceva con me mi ha invitato a partecipare a un gruppo che faceva un’esperienza religiosa, sarebbe diventato CL. Con Dani abbiamo cominciato a partecipare a questi incontri un po’ strani, dove c'era una sorta di fascino per il modo di stare assieme di questa gente che ci sembrava fosse tutto sommato più felice di quella che frequentavamo prima. Credo che sia stato questo l'elemento determinante del nostro interesse per quell'ambiente.

Lì abbiamo conosciuto don Luigi Giussani, una figura molto particolare e davvero straordinaria. Un pensatore, che ogni anno veniva a fare gli esercizi spirituali, cioè un paio di giorni di incontri. E peraltro sono 100 anni dalla nascita di Giussani* e CATI, col suo settore informazione, ha fatto la diretta streaming del convegno qui a Lugano.

Avevamo conosciuto anche Eugenio Corecco, professore di diritto canonico, che è diventato mondialmente un'autorità in materia. Conduceva questa comunità ed è diventato nostra guida spirituale. Ma è anche la persona che, da vescovo, ha determinato la svolta importante di Caritas Ticino negli anni 90.

La particolarità che ci colpiva di quell’esperienza religiosa era la radicalità e la passione con cui vivere e stare assieme agli altri.

Devo dire che nel fermento rivoluzionario di quegli anni, il desiderio di vivere intensamente le cose era davvero molto grande. Quindi abbiamo fatto esperienze molto belle e molto affascinanti. Abbiamo studiato a Friborgo, dove appunto c'era Eugenio Corecco che è diventato anche un grande amico. Ci ha sposato lui a Friborgo, poi siamo andati a Parigi a studiare, eccetera. 

Ma uno dei fatti più importanti della nostra vita che ha marcato poi molto il mio modo di concepire il lavoro sociale è stato il cominciare a fare delle vacanze con delle persone handicappate, le cosiddette colonie integrate e quando poi abbiamo avuto dei figli, li portavamo in colonia, anche neonati. Abbiamo fatto colonie per parecchi anni. Del resto abbiamo degli amici che continuano ancora adesso, cioè i figli di quelli che avevano cominciato.

Una esperienza di incontro con persone che avevano problemi seri, di tipo fisico ma anche psichico, vivendo delle vacanze, senza pretese terapeutiche, nient’altro che stare assieme, vivere assieme come della gente normale che fa le vacanze. È stata un'esperienza formativa veramente molto importante.

Ma l'elemento credo straordinario è stato l'insegnamento di Eugenio Corecco che, quando poteva, partecipava a questi momenti di vacanza; lui ci ha sostanzialmente insegnato e aiutato a guardare le persone portatrici di handicap in un modo completamente diverso rispetto al pensiero dominante.

Lui diceva, da persona profondamente religiosa, che nel volto di queste persone, un volto segnato dalla malattia e dalla sofferenza, noi dovevamo vedere Gesù Cristo. Questa è la questione nodale. Perché? Perché quelle persone segnate da un handicap avevano una dignità grande e non erano definite dall'handicap.

È quello che di fatto c'è scritto sulla facciata del Catishop di Pregassona: “la persona è molto più del suo bisogno.”

Questa è la questione fondamentale. E questo è uno sguardo sull'altro che non colpisce solo chi è credente. Cioè non c'è bisogno di avere la fede e di essere praticanti per capire che questa è una cosa straordinaria, nel senso che il richiamo di Corecco a guardare questi volti sofferenti come se fossero Gesù Cristo, tradotto in termini laici, vuol dire guardare quelle persone non definendole per quello che non hanno, per la loro mancanza, per il deficit, ma definendole per quello che sono profondamente, per la loro dignità, cioè riconoscendo a queste persone una dignità intrinseca. 

Questo diciamo che non succede tanto facilmente. Credo che abbiamo spesso assistito a forme di “angelismo” nei confronti delle persone handicappate, o nei confronti delle persone che hanno un problema, nel senso di guardarle privandole di fatto della loro dignità profonda, perché si ritiene che non siano responsabili di nulla. È una cosa sottile, è una sorta di malattia sottile che si manifesta in forme anche innocenti nel linguaggio.

Pensate al fatto che molto spesso, a una persona con un handicap, o a una persona anziana un po’ debilitata, si dà del tu, pur non essendo suoi amici. E il linguaggio di fatto tradisce un pregiudizio e un giudizio. Chiedete a Dante quante volte probabilmente è stato obbligato a attraversare una strada che non voleva attraversare, oppure quante persone che non lo conoscono si permettono di dargli del tu, perché siccome non vede, si crede che probabilmente debba essere anche scemo!

In proposito un aneddoto del mio amico Giacomo Contri psicoanalista milanese morto a gennaio.  Molti anni fa, a un incontro di operatori sociali che si occupavano di persone handicappate, li aveva provocati, dicendo che “Anche gli handicappati vanno all'inferno.”

Tutti sono saltati per aria, ma a me era piaciuta da morire perché nella sua provocazione c’era l'affermazione della dignità della persona handicappata al punto tale da riconoscergli, la possibilità di scelta: anche quando l’handicap è grave c'è un angolo di libertà dove la persona può scegliere. Evidentemente se gli si concede di scegliere, vuol dire che gli si può permettere di scegliere anche di comportarsi male e in questo senso “la persona handicappata può andare all'inferno”. C'è di fatto un riconoscimento per me bellissimo della libertà e della dignità personale.

Nell’’80 sono arrivato a CATI per l’accoglienza dei boat people vietnamiti, erano i profughi vietnamiti che scappavano dal Vietnam, ne sono scappati 1.000.000 sulle barche e metà ha perso la vita in mare o coi pirati. Dovevo occuparmi soprattutto dell’animazione delle comunità di accoglienza essenzialmente parrocchiali. Ed era la prima volta che su larga scala si usava questo metodo.

Non si trattava prevalentemente di un intervento diretto con i profughi, ma di un lavoro mediato di animazione delle comunità che maturavano un cammino di accoglienza dei profughi. Ed è stata un'esperienza davvero formativa e molto interessante per me perché mi ha permesso di approfondire e di mettere a tema tutta una serie di questioni che fanno parte del welfare, cioè dello stato sociale e quindi dell'impostazione del lavoro sociale. Diciamo che questo impegno è stato una sorta di lavoro preparatorio che mi ha permesso poi negli anni 90, in particolare nel 92, quando c'è stato il 50º di CATI, di intuire la genialità del pensiero del vescovo Eugenio Corecco. 

Quindi una svolta per CATI che poi negli anni successivi abbiamo tradotto anche in termini laici, con personaggi che ci hanno aiutato con i loro scritti come Muhammad Yunus, Amartya Sen e C.K. Prahalad. Personaggi che affermavano che nella persona c'erano delle risorse. Era sostanzialmente quello che ci diceva in termini religiosi Corecco; in termini laici voleva dire scoprire le risorse che ci sono in tutti. Ma affermare che in tutti ci sono sempre delle risorse è qualcosa di assolutamente rivoluzionario che ha delle conseguenze politiche, di politica sociale, e si contrappone completamente a una concezione assistenziale del rapporto con chi ha bisogno.

La questione nodale è questa: credere che le persone hanno sempre delle risorse, magari nascoste, magari difficili da tirar fuori. Vuol dire che c'è la possibilità di aiutare queste persone a diventare dei soggetti attivi e non essere degli oggetti passivi che ricevono da altri gli aiuti. Questo è il cambiamento sostanziale che Caritas Ticino ha fatto, passando da un'attenzione al “bisogno” dove tutte le organizzazioni socio caritative focalizzano la loro mission, cambiando l'asse e il focus sulle risorse delle persone. Dal bisogno alle risorse.

Allora aiutare la persona bisognosa a scoprire e attivare le proprie risorse, sono convinto sia il compito principale dell'operatore sociale di una Caritas come CATI. Poi naturalmente bisogna anche fare le lotte politiche contro le ingiustizie che ci sono, contro gli errori di un sistema di welfare che ha dei buchi e delle falle. Bisogna farle davvero queste lotte politiche. Ma il compito principale, il compito primo dell'operatore, credo sia proprio quello di aiutare le persone a scoprire e attivare le proprie risorse.

È chiaro che bisogna distinguere il momento dell'emergenza, quello che è il momento dove bisogna assolutamente intervenire subito. E questo sia che si tratti di una persona singola, sia che si tratti di un gruppo. Passato questo momento iniziale di emergenza, bisogna sempre, e sottolineo sempre, tornare alla questione delle risorse che le persone hanno, aiutandole ad attivarle, aiutandole a scoprirle.

Questa idea si contrappone alla concezione assistenziale ancora oggi diffusa prevalentemente in area cattolica e di sinistra, perché se tutti sono portatori di risorse significa che possono diventare soggetti attivi e non essere ridotti a oggetti passivi che ricevono aiuto perché ritenuti vittime incapaci di essere attori della propria rinascita. Ed è proprio questo non riconoscimento delle risorse che impedisce alla persona bisognosa di uscire dal limbo dell’impotenza. Molte forme di aiuto che hanno il tarlo dell’assistenzialismo, spesso la distribuzione di soldi, impediscono alle persone di attivarsi e scoprire le proprie risorse.

Quando si ha questo sguardo come operatori sociali, si capisce che non è possibile sostituirsi a nessuno. Non si è onnipotenti e non ci si può sostituire a nessuno. Quindi il lavoro dell'operatore sociale è in fondo un lavoro sempre un passo indietro. Questo l'ho sentito in modo molto profondo nella mia esperienza, perché molto spesso ciò vuol dire accettare la libertà dell'altro, che pensa male e pensa sbagliato, che fa scelte sbagliate, che avranno conseguenze. L'operatore deve fare di tutto per convincere, per far capire a quella persona che cosa potrebbe cambiarle la vita, ma mai sostituirsi a lei, mai entrare in una sorta di tentativo risolutivo dall’esterno.

E questo è il guaio continuo di molti operatori sociali, e di molte organizzazioni socio-caritative. A CATI ad esempio noi non abbiamo le “épiceries”, cioè le banche alimentari, a Caritas Ticino ci siamo sempre opposti quando in tutta la Svizzera tutte le Caritas le hanno. Il motivo è preciso: crediamo che queste forme assistenzialiste di aiuto limitino le possibilità di diventare soggetti attivi.

Nel corso degli anni abbiamo coniato uno slogan che riassume tutta l’impostazione di questo pensiero sociale: Dalla povertà si esce solo diventando soggetti economici produttivi.

Le conseguenze di questo slogan sono enormi e per me sono state una lotta controcorrente continua; mi sono sentito dire molte , soprattutto in area cattolica e di sinistra, “hai ragione ma bisogna fare delle eccezioni”. Ho sempre risposto che non ci sono eccezioni a un pensiero sano.

E si può fare anche se a volte è faticosissimo. Scoprire le risorse delle persone è una cosa spesso davvero molto difficile. Ma si può fare.

E si possono vivere delle esperienze straordinarie quando le persone hanno compreso che possono diventare davvero gli attori della propria rinascita.

È stato estremamente gratificante vivere questi incontri e  queste cose con passione, e raccontarle cercando di spiegarle ad esempio con migliaia di video su youtube, raccontando esperienze, come abbiamo fatto con Graziano Martignoni, che abbiamo rimpicciolito mettendolo in video in un modellino di casetta che un contadino di Berna aveva costruito molti anni fa, o in altre ambientazioni strane e divertenti. Ma tutto questo per affermare che la persona che ha bisogno di aiuto ha una dignità straordinaria che va scoperta, perché possa sempre e comunque rinascere.

Quindi la mia esperienza di operatore sociale è stata bellissima. E auguro anche a voi di andare un giorno in pensione riguardando la vostra vita, dicendovi che tutto sommato avete contribuito a costruire un pezzettino di mondo migliore.


*Un mio ricordo di don Luigi Giussani:



lunedì 19 settembre 2022

Ricordando il piccolo Carlo

 L’ULTIMO SALUTO A UN NEONATO


      Foto di Giona, che ha saputo della morte di Carlo  quando era al Crocione, e l'ha mandata sulla chat di famiglia

Sabato ci siamo trovati in molti a pregare intorno a una piccola bara aperta col piccolo Carlo che sembrava dormisse. Ha vissuto due mesi e mezzo con i suoi genitori sempre accanto, lottando contro una malformazione cardiaca, poi il suo piccolo cuore ha smesso di battere. La commozione, persino mentre scrivo, è stata immensa nel guardare quel bimbo, figlio di persone molto vicine e molto care, che se ne era andato via.

Non siamo attrezzati per metabolizzare la morte degli adulti ma quella dei bambini ci disarma totalmente, non riusciamo a crederla possibile. Nella storia dell’umanità la morte dei bambini e dei neonati è stata molto presente ma da un’ottantina d’anni, almeno nel mondo occidentale, il benessere e i passi della medicina ci hanno fatto dimenticare questi drammi che una volta toccavano tutte le famiglie. Il piccolo Carlo ci ha rimesso di fronte al limite di un dolore con cui non vorremmo mai essere confrontati. L’entrata in una chiesa straboccante di persone, della piccola bara portata dai due genitori, è una immagine straziante di una bellezza e di una dignità straordinaria che esprime fra l’altro il nostro bisogno di riti per affermare in modo comunitario la possibilità di condivisione dei gesti importanti e fondamentali della nostra esistenza. Un’immagine che rimarrà incisa in modo indelebile nella memoria di tutti coloro che hanno partecipato a quel momento.

Ma contraddicendo ogni possibile aspettativa, accompagnare per un ultimo saluto questo neonato si è rivelata un’occasione inaspettata di serenità di fronte al dolore e alle grosse questioni esistenziali, di fronte alla questione personale più intrigante, quella della morte.

Questo grazie alle parole del papà di Carlo e all’omelia alla Messa del funerale celebrato da Padre Mauro Lepori (abate generale dell’ordine cistercense) e certamente anche grazie a una partecipazione straordinaria di centinaia di famigliari e amici, rimasti assieme anche sul sagrato della chiesa dopo il funerale, per ore.

Andy sia dopo il rosario del sabato, sia dopo la Messa, ha condiviso alcune riflessioni che aveva fatto con sua moglie Anna. Un regalo di cui esser loro profondamente grati.

Molti ci hanno ricordato – ha detto - che Carlo è morto il giorno della Madonna Addolorata e quindi ora è in braccio alla Madonna.

Ogni giorno della sua vita è stato amato e voluto, quindi ha ricevuto solo amore e la sua vita non è stata come la nostra piena anche di litigi cattiverie e meschinità, ma solo di amore, il nostro il vostro e quello di tutti gli amici che ci sono stati vicini e hanno pregato per lui e per noi. In questi due mesi e mezzo ci ha resi persone migliori.

È stata quindi una vita felice e compiuta e di questo sono certo. Ci ha regalato questo tempo meraviglioso insieme, com’è sempre stato meraviglioso il suo sorriso.

La certezza di saperlo tra le braccia del Signore, a giocare sulle ginocchia del nonno e della Madonna che lo presentano a Dio, nella felicità totale qui per noi ancora inimmaginabile, ci riempie di speranza e fiducia. Un nuovo angelo veglia sulla nostra famiglia.

L’omelia di Padre Mauro Lepori.

Chiesa del Cristo Risorto, Lugano – 18.09.2022
Letture: Isaia 25,6a.7-9; Efesini 1,3-5; Matteo 18,1-5.10

Il nostro piccolo Carlo è nato alla grazia di essere figlio di Dio ricevendo il santo Battesimo da suo papà al momento della nascita. Prevedevamo di celebrare i riti complementari del Battesimo fra due settimane, nella Domenica che cadrà nel giorno degli Angeli Custodi. Per questo ho scelto il Vangelo degli Angeli Custodi per questa Messa in cui con dolore e speranza, con tristezza e gratitudine ci ritroviamo a congedarci dal nostro piccolo cavaliere (forse non tutti sanno che il suo terzo nome di battesimo è Artù, dopo quelli di Carlo, in ricordo del suo caro nonno, e di Gabriele), a congedarci da lui che per due mesi e mezzo ha lottato per vivere e che ci ha preceduti tutti nel raggiungere il destino della vita. Gesù “chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.”

In questi mesi, ma anche prima che nascesse, Carlo era al centro della nostra attenzione e apprensione, al centro delle nostre cure, certamente dell’amore dei suoi genitori e di tutti noi. Ma ora dov’è Carlo? È Gesù che ce lo dice e che la fede in Lui ce lo fa e farà sempre più capire nel profondo del cuore, come una coscienza che sorge in noi, simile al sole di questa limpida giornata di settembre. Ora Carlo è al centro del Regno dei cieli, al centro della realtà compiuta in Gesù Cristo morto e risorto per noi. Il centro del Regno dei cieli è per noi e per tutti Cristo stesso, il Figlio di Dio, che è venuto nel mondo per condurci al Padre, affinché possiamo stare eternamente al Suo posto nella Trinità, il posto del Figlio prediletto di Dio che scambia con il Padre l’Amore infinito dello Spirito Santo. Gesù vorrebbe che questo posto al centro del Regno dei cieli lo prendessimo già in questa vita, perché il Regno dei cieli non è dopo questa vita, ma la verità ultima, la realtà vera della nostra vita. Per questo il Signore mette un bambino al centro e chiede ai discepoli di imparare subito da lui, di farsi subito piccoli come lui, di accogliere subito Gesù stesso in lui. Questo, Gesù ce lo chiede come conversione, come cammino in cui accettiamo che la nostra vita diventi sempre più vera alla luce di Cristo, alla sequela di Cristo, per grazia di Cristo. Ma ai bambini questa grazia, questa verità ultima e eterna della vita, è data per natura. In loro l’amore infinito del Padre si imprime e manifesta senza ombre. In loro la grazia del Battesimo è immediatamente esplicita.

Gesù infatti ci invita a guardare ai bambini come ad angeli che vedono senza veli il volto del Padre: “Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.”

In fondo dovremmo sempre rapportarci ai bambini come se fossimo sulla soglia del tempio mentre loro, come il gran sacerdote, entrano nel Santo dei Santi a contemplare Dio e a dialogare con Lui. E in questo dovremmo seguirli, come profeti del Mistero che ci insegnano la verità e pienezza della nostra vita.

 

Oggi lunedì, mentre 4 miliardi di persone stanno seguendo i funerali della regina Elisabetta II d’Inghilterra, una piccola bara col piccolo Carlo è inumata nella tomba del nonno Carlo che ci ha lasciato quasi quattordici anni fa.

Ho letto in uno scambio di messaggi: “c’era tanto dolore e tanto amore in tutti.”

È il segno di speranza che ci consola e ci rassicura.

giovedì 28 luglio 2022

Dalla liuteria per divertimento al restauro di una finestra

Un mondo in una finestrella antica

Negli ultimi 5 anni da  pensionato che ha finalmente tanto tempo, ho scoperto la liuteria "per divertimento" e da questo appunto il Label "Lutist for fun". Ma casualmente ho scoperto un mondo che non conoscevo nientemeno che in una povera finestrella marcita nella parte inferiore. Infatti, come tutti, pensavo che una finestra fosse tutto sommato un assemblaggio di listoni piuttosto elementare, mentre è un gioco di incastri davvero notevole. La ragione ovvia è che deve isolare e quindi nel corso dei secoli si sono studiati disegni e soluzioni sempre più sofisticate. Si è arrivati a coefficienti di isolazione elevatissimi con finestre di materiali diversi che vanno regolate da specialisti, ma anche le tradizionali finestre in legno sono il risultato di soluzioni davvero straordinarie. Non avrei proprio creduto che una finestra potesse essere così interessante.

Ecco la situazione iniziale della finestrella a due ante sul terrazzo a Bigorio, marcita in basso a causa della pioggia e degli anni.


In questi casi normalmente si sostituisce la finestra ma il mio attaccamento agli oggetti originali/tradizionali e qualche velleità ecologica me lo hanno impedito e ho deciso di provare a restaurare, cioè ricostruire le parti delle due finestre mancanti o marcite. Per capire di cosa si tratta ecco una immagine esplicativa di cosa ho dovuto costruire


Ma la scoperta è stata il gioco di incastri meticoloso di numerosi pezzi che hanno lo scopo di far aderire a scaletta i bordi della finestra alla cornice, che è sostanzialmente fatta a negativo che combacia.
Ecco gli schizzi/scarabocchi con misure. Una operazione tutt'altro che semplice dovendo inmmaginare le misure delle parti mancanti


Alla fine ho costruito una ventina di pezzetti di legno adattandoli e ritoccandoli nelle prove di assemblaggio che si concludono con colla e morsetti. 

Poi sostituzione di un vetro e pittura ed eccola finita


Il conteggio delle ore per il restauro, complice anche l'inesperienza, è davvero meglio non farlo perché si potrebbe dire ovviamente che una nuova finestra sarebbe costata meno. Ma se non si monetizza il tempo e lo si vive in una dimensione ludica e meditativa, rimane una bella esperienza da ricordare.

sabato 21 maggio 2022

Ho costruito un Dobro

Da un rottame alla chitarra Dobro, Spider Resonator, Round Neck

Avevo alcuni pezzi di una chitarra distrutta che avevo recuperato molti anni fa, non so più dove, ma probabilmente al mercatino di Caritas Ticino. C'era un manico spezzato e una mezza cassa con un vistoso squarcio, solo la parte inferiore senza la tavola armonica. Con questi pezzi e le parti metalliche risonanti e l'elettronica comprati su Aliexpress dalla Cina, mi sono costruito la mia chitarra Dobro che tecnicamente ha uno Spider Resonator e il manico arrotondato, Round Neck.


La chitarra "resofonica", ha diverse varianti e la Dobro è quella con un risonatore a "ragno" costruita dalla Gibson che oggi non l'ha più in catalogo, ma il nome è rimasto. Inventata negli anni venti per poter suonare con strumenti che avevano un volume più elevato (come i fiati) è diventata poi una chitarra usata nel Country, nel Blues e nel Bluegrass.
È poco conosciuta fuori da quell'area , ma una cover di LP dell'era pop l'ha resa famosa anche se poi se ne son viste poche dal vero.
Brothers in arms dei Dire Straits del 1985 che ha venduto 30 milioni di copie:

Ho riscoperto questa chitarra seguendo Justin Johnson, bluesman americano, che ha inventato alcune divertenti slide guitar che mi hanno affascinato è mi sono costruito, come racconto in un altro post della serie "Liutaio per divertimento" "Lutist for fun". 

La situazione iniziale era questa:

C'era la parte inferiore da restaurare ma soprattutto bisognava trovare il modo di riattaccare il manico con la giusta inclinazione e con la necessaria resistenza alla trazione delle corde che è enorme. Ho rinforzato quindi con un pezzo di abete il punto di attacco del manico e con del compensato ho riparato lo squarcio della parte inferiore della cassa.

Ho disegnato la forma della tavola armonica ritagliandolo nel compensato, oltre agli anelli per piazzare il risonatore e il coperchio cromato, che ho ricavato da un coperchio di scatola di bottiglie di vino "Tamburini"!

Ho messo dei quadratini di rinforzo per far aderire meglio la tavola armonica alla cassa e ho incollato gli anelli al coperchio.

Dopo diverse prove di posizione del manico l'ho finalmente incollato aggiungendo una lunga vite dall'interno della cassa.

Ho provato e riprovato la posizione degli anelli e del risonatore col ponticello per arrivare al compromesso accettabile per l'altezza delle corde sul manico. Per questo ho dovuto rialzare il ponticello originale rifacendolo più alto di qualche millimetro.

Avendo rialzato il ponte, il coperchio cromato del risonatore avrebbe toccato le corde e quindi è stata necessaria una modifica con l'aggiunta di un pezzo di pelle grossa e rigida, la stessa che avevo usato per nascondere lo squarcio della cassa.

Ho incollato la tavola armonica alla cassa e ho messo dei tondini di legno fra gli anelli del risonatore e il fondo per trasmettere meglio il suono a tutta la cassa armonica.

Ho posizionato l'elettronica col controllo del volume e del tono e una miscelazione del suono del pickup piezoelettrico sotto al ponte e un microfonino "volante" che capta il suono nella cassa, oltre al porta batteria e prese jack e canon bilanciata.

L'ultima fase è stata quella della verniciatura della tavola armonica, con un colore che ho creato a partire da basi che avevo, miscelandoli. E poi la laccatura con una decina di passaggi di lacca satinata. I primi 5 a pennello intercalati da passaggi di carta vetrata finissima (320) e gli altri con una spugnetta per non avere tracce di pennellate. Alla fine ho incollato il bordino di (forse!) madreperla. Qui è visibile il microfonino volante.

Con la cordiera originale però avrei dovuto montare corde particolarmente lunghe e quindi ho fatto una modifica per accorciare la distanza dall'attacco della corda al capotasto, ispirandomi alle cordiere del violoncello.

mercoledì 30 marzo 2022

Comunicazione in pandemia

7 capitoli su "Comunicazione in pandemia"

Due anni di pandemia, che ci auguriamo sia finita anche se forse non è così, hanno condizionato fortemente la comunicazione, ad esempio accellerando alcuni processi di utilizzazione della tecnologia digitale anche in fasce di popolazione sulla quale non si sarebbe scommesso nulla prima della pandemia.
Come tutti, anch'io sono stato colpito da alcuni aspetti nuovi non previsti che ho annotato in 7 capitoli per la rivista di Caritas Ticino, che ha da sempre una particolare attenzione ai diversi aspetti della comunicazione. Ecco gli articoli pubblicati: 1o Cap. N.2 2020, 2o Cap. N.3 2020, 3o Cap. N.1 2021, 4o Cap. N.2 2021, 5o Cap. N.3 2021, 6o Cap. N.4 2021, 7o Cap. N.1 2022.