venerdì 13 dicembre 2019

Riparare una Pipa cinese

Riparare una Pipa cinese con un tagliere dell'Ikea

Nella lista degli strumenti musicali che desidero, prevalentemente orientali ma non solo, c'è la Pipa cinese. Una sorta di liuto a 4 corde suonato con le unghie "aggiuntive" fissate alle falangi. Non mi ha mai entusiasmato la musica abitualmente suonata con la Pipa perché troppo romantica e da mandolino. Ma alcuni musicisti, prevalentemente donne come Wu Man, suonano la Pipa anche in forme ricercate con melting pot etnici vicini alla musica contemporanea e questo mi piace molto. E poi è uno strumento splendido nella sua elegante struttura riccamente decorata. Visto che la mia lista di strumenti è ampia e richiederebbe un budget imponente, cerco di arrangiarmi costruendo e riparando visto che ho una certa abilità nel bricolage se non proprio nell'artigianato. Così trovando una Pipa in pessime condizioni da restaurare su ebay ho pensato di comprarla. Volevano 80£ ma ne ho offerte 60£ e hanno accettato. Ho chiesto informazioni e mi hanno scritto che dalla Cina è finita in Giappone e da lì in Svizzera da me. Su un'etichetta c'è scritto 2002. Ecco come mi è arrivata.


All'inizio ho restaurato la parte alta del manico che era andata in pezzi nel viaggio. Ho comperato su ebay le corde e 4 Peg (manopole per tirare e accordare le corde), e poi si trattava di costruire i 6 tasti mancanti di Bamboo. Ma trovare del bamboo alle nostre latitudini non è evidente. La nostra amica Cristina che aveva costruito degli oggetti in bamboo mi ha trovato all'Ikea un tagliere da cucina che è di bamboo anche se non c'è scritto da nessuna parte di che materiale sia fatto. 
Da questo assetto ho ritagliato i tasti cercando di ricostruire la scala originale dell'inclinazione con le diverse misure, un'operazione tuttaltro che scontata.
Con molta pazienza poi ho ricostruito la tastiera cercando le posizioni originali dei tasti.


Alla fine ho ritoccato con carta vetrata i leggeri dislivelli che causavano vibrazioni sbagliate dopo il montaggio delle corde. E ora ho una Pipa di cui sono fiero che suona discretamente.


lunedì 11 novembre 2019

Blade Runner, in questi giorni

Blade Runner Novembre 2019



In questi giorni, a novembre del 2019 è ambientato Blade Runner il film cult del 1982 che ha cambiato la rappresentazione della fantascienza, che ci ha fatto riflettere sulle questioni esistenziali attraverso lo sguardo dei "replicanti", esseri non umani fabbricati industrialmente ma "più umani degli umani" come recitava lo slogan della Tyrrel Corporation che li costruiva.

Un capolavoro "malgrado" Rydley Scott, il regista, che credo non si sia nemmeno reso ben conto di quello che aveva per le mani, visto che nel corso degli anni ha cercato di rovinarlo con correzioni e versioni addomensticate tutte ben poco felici. (Attenzione quindi alla versione: non director's o final cut o international o US Broadcast ma la "US Theatrical Cut")

Soprattutto non voleva il commento (voiceover fuori campo) di Deckart, il protagonista, che accompagna con annotazioni e considerazioni varie, tutto il film: glielo aveva imposto la produzione perché altrimenti "non si capiva cosa stesse succedendo" e si dice che "svogliatamente" Harrison Ford l'avesse registrato proprio perché bisognava farlo! Invece queste considerazioni intime e colloquiali, improvvisate, scanzonate e apparentemente raffazzonate, sono il legante di classe che completa il gioiello. 


Come nella scena della morte di Roy Betty, il replicante che ha lottato con Deckert cercando di ammazzarlo in tutti i modi ma che alla fine gli salva la vita, c'è un passaggio efficacissimo nel commento off di Deckard: 

I don't know why he saved my life.
Maybe in those last moments, he loved life more than he ever had before.
Not just his life. Anybody's life. My life.
All he'd wanted were the same answers the rest of us want.
Where do I come from?
Where am I going?
How long have I got?
All I could do was sit there and watch him die.

(Non so perché mi ha salvato la vita. Forse in quei momenti ultimi, amava la vita più di quanto l'avesse mai amata prima. Non solo la sua vita. La vita di chiunque. La mia vita. Quello che aveva voluto erano le stesse risposte che vogliamo tutti noi. Da dove vengo? Dove vado? Per quanto ne ho ancora? Quello che ho potuto fare è stato ster lì seduto a guardarlo morire.)




E Ridley Scott non voleva neppure il finale Happy End, anche questo imposto dalla produzione, che invece permette una conclusione "molto umana" con la riflessione di Deckart "Who does?" (chi lo sa?) riguardo alla durata dei rapporti di coppia, non solo il suo con la replicante Rachael, ma quelli di tutti; 
sullo sfondo della sequenza di un volo in elicottero sulle montagne (dove finalmente c'è il sole dopo tutto il film di notte con la pioggia), presa "in prestito" dal materiale girato da Stanley Kubrick nel 1980 per Shining. Per chi adora Kubrick è un cammeo, ma per Ridley Scott era una sequenza da eliminare appena è stato possibile. 


Ho sognato molto rivedendo Blade Runner innumerevoli volte, forse perché mi è sempre sembrato che si potessero porre quelle domande esistenziali caricandole del desiderio di trovare un senso in generale all'esistenza anche senza ricevere davvero le risposte; probabilmente perché il senso c'è al di là della possibilità di trovare le risposte corrispondenti alle domande.
Roy Batty, il replicante morente dice a Deckard "I've seen things you people wouldn't believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate. All those moments will be lost in time, like tears in rain." (Ho visto cose che voi non potreste credere. Navi in fiamme alle spalle di Orione. Ho visto i raggi C scintillare nel buio vicino alla Porta di Tannhäuser. Tutti questi momenti saranno persi nel tempo, come lacrime nella pioggia.)
E in fine aggiunge "time to die"(è tempo di morire), poi sorride, ripiega la testa e lascia andare una colomba che vola via, per un'istante in uno squarcio di cielo quasi azzurro nonostante la pioggia e l'atmosfera notturna. 
Il sorriso in primo piano è netto ed è l'ultimo gesto prima di morire.

martedì 22 ottobre 2019

Forever and ever and ever

La saggezza di una bimba che sta morendo

Continuo i pensieri relativi alle stelle del post precedente sui miei settant'anni, partendo da una sequenza cinematografica che mi ha colpito particolarmente.

Il film belga del 2012 è un capolavoro: The Broken Circle Breackdown conosciuto anche col titolo di Alabama Monroe che in fondo è il titolo migliore per questo gioiello di infinita tristezza.
A 1h 34 minuti e 18 secondi inizia una sequenza struggente con un dialogo che riporto (dalla traduzione inglese dell'originale fiammingo).

Maybelle, la piccola protagonista gravemente ammalata, in ospedale in una camera asettica, chiede al papà di raccontarle ancora la storia di quando le stelle si spengono. 
E il papà dopo un po' di esitazione:Una piccola stella come questa è infatti un sole molto molto lontano
E la sua luce deve camminare e correre molto lontano e molto a lungo per raggiungere i tuoi occhi.
E quindi a volte è possibile che la piccola stella sia già spenta, prima che la luce sia arrivata ai tuoi occhi. Succede che tu veda qualche cosa che non è più lì.
Ma non importa perché la luce di una piccola stella come quella continua a viaggiare, al di là dei tuoi occhi. Sempre più lontano. E quindi quella piccola stella esisterà per sempre.
 

Per sempre, nei secoli dei secoli! Forever and ever and ever. 

giovedì 26 settembre 2019

70 years old & 7'000 light-years

70 anni & 7000 anni luce (in inglese suona meglio!)

Il 29 luglio ho compiuto settant'anni e sono stato ampiamente festeggiato con una grande simpaticissima festa e un mucchio di regali e di auguri. 

Un gruppo di famigliari e amici ha persino realizzato un disco vinile 45giri con musica elettronica e voci. E un libretto fantastico di pensieri e immagini. Un'impresa non da poco anche solo trovare chi stampa un solo vinile 45 giri nel 2019!
Booklet vinile 45 giri Roby 70
Booklet disco vinile 45 giri Roby 70


E poi fra i tanti regali due strumenti musicali orientali (non ci sono nella foto), Un Ajaeng coreano e un Satar cinese degli Uyghur (Xinjiang).

Ecco l'Ajaeng

E il Satar, in un filmetto bucolico girato da Dani alla Picheta (vicino a Gola di Lago) dove sembra di essere in una valle dello Xinjiang!

E siccome la festa continua fra i regali ho anche due costruzioni Lego per occupare qualche settimana: il mitico furgone VW anni sessanta e il Taj Mahal. Se riuscirò a montarli facendo un time laps lo pubblicherò qui.

70 anni sono un bel numero visto che i numeri hanno nella nostra cultura una certa importanza e il tempo è una dimensione che ci interessa e ci interroga molto.
Durante tutta la vita cambia la percezione di cosa siano 70 anni di vita fino a quando non ci si arriva, prima sono lontanissimi e chi li ha ti sembra vecchissimo, poi la distanza si accorcia e i settantenni ti sembrano meno anziani e infine arrivi al traguardo e hai 70 anni, e ti si chiede come sia. Evidentemente ciò che conta è il proprio status, cioè cosa si fa, e da pensionato da due anni e mezzo, questa è la condizione che mi determina di più rispetto agli anni anagrafici. Una condizione gradevolissima dove non sono più condizionato dall'agenda ma dal piacere di far delle cose che mi interessano, e dal poter stare giornate intere con Dani con cui sto benissimo. 

Evidentemente è maggiormente presente una riflessione sulla finitezza, sulla morte, che razionalmente so essere più vicina di prima, ma che non mi preoccupa. Mi pare infatti di aver la fortuna di vivere un'esistenza armonica con la realtà spazio-temporale, nel senso che trovo una sorta di equilibrio fra la percezione soggettiva di me stesso, che considero ovviamente molto importante, e il fatto oggettivo che ciò che mi circonda è infinitamente grande e rende la mia presenza relativamente trascurabile. Non sono deluso nel constatare che conto così poco o quasi nulla nello spazio e nel tempo perché mi pare ci sia una sorta di saggezza in un disegno ampio di cui anche io faccio parte. 

Mi colpiscono le splendide fotografie astronomiche che Basilio (mio figlio) realizza con una sofisticata tecnologia e che mi manda regolarmente, soprattutto per un aspetto, gli anni luce di distanza a cui le immagini si riferiscono. 7000 anni luce significa infatti che l'immagine che guardo descrive una situazione come era 7000 anni fa. Forse oggi quelle stelle non ci sono più o sono qualcos'altro, o magari sono ancora lì tali e quali. Comunque io con i miei 70 anni ho vissuto 100 volte meno dell'intervallo di tempo a cui la fotografia si riferisce. 
Guardare questa immagine mi aiuta a ricentrare i miei 70 anni, soprattutto se penso che 7000 anni sono una bazzecola per l'universo.

venerdì 5 luglio 2019

Troppo giovani per un funerale ma troppo vecchi per ignorarne l'esistenza

"The garden helping to heal the pain of pregnancy loss" (Il giardino che aiuta a curare il dolore per una gravidanza interrotta)


Nelle News della BBC trovo un articolo che può far riflettere su diverse questioni esistenziali tra vita e morte. 

Non sono particolarmente entusiasta del progetto in questione che può nascondere anche risvolti patologici ma ci sono due aspetti interessanti che l'iniziativa canadese, come raccontata nelle Stories della BBC, solleva. 

Il primo è che la morte è difficile da gestire in qualsiasi condizione in cui essa ci si presenti. La morte degli altri, magari molto vicini e cari, ci ripropone il tema della nostra morte e della finitezza in generale, cosa per la quale siamo sprovvisti di un'adeguato strumentario, siamo disarmati. Abbiamo bisogno di metabolizzare la questione con mezzi e artifici di ogni genere: dobbiare fare il lutto che in ultima analisi è il mezzo maggiormente lenitivo che le diverse culture abbiano inventato nel corso della storia umana. E poi dobbiamo seppellire i morti perché abbiamo bisogno di luoghi di riferimento per pensare alle persone che ci hanno lasciato collocandole in un luogo come se fosse una porta che apre verso una realtà diversa, a seconda delle credenze religiose a cui si fa riferimento. Una porta per il paradiso o una porta per il ricordo eterno.

Il secondo aspetto più legato al carattere particolare dell'iniziativa di un giardino per ricordare degli esseri umani abortiti, invece ripropone la questione dell'inizio della vita. Un passaggio dell'articolo mi sembra metta a fuoco in modo molto concreto e umano la questione dal punto di vista di una madre: 

What do you do with the remains of a child lost during pregnancy? How do you honour their memory? A miscarried child can exist in a kind of limbo, thinks Debbie."They are too young for a funeral, but too old to ignore they existed. We didn't know where to place Victoria, so we just left her in the hospital. She was actually referred to as 'biowaste'. It broke my heart in pieces." 
(trad. Cosa fare con i resti di un bambino perso in gravidanza? Come onorarne la memoria? Un bambino abortito può esistere in una specie di limbo, pensa Debbie. "Sono troppo giovani per un funerale ma troppo vecchi per ignorarne l'esistenza. Non sapevamo dove mettere Vittoria, così l'abbiamo lasciata in ospedale. In verità ci si riferiva a lei come a un "rifiuto biologico", mi fa a pezzi il cuore).

Il giardino per i bambini abortiti è stato realizzato da un architetto canadese che avendo vissuto qualche anno in Giappone ha preso ispirazione da una tradizione buddista, Mizuko Jizō, la creazione di statuette votive per marcare la morte di un bambino. Il cimitero canadese non ha un riferimento religioso esplicito e tutti presumibilmente possono utilizzarlo credendo quello che vogliono. Le casette con bamboline ricordo che dovrebbero rappresentare la tomba, sono brutte, di cattivo gusto e hanno poco a che vedere con le statuette buddiste giapponesi, ma in una cultura occidentale livellata verso il basso, che nasconde e mistifica sia vita che morte, questo è probabilmente il meglio che si sia potuto inventare privati di radici e di tradizioni adeguate.


Mi pare però che questa vicenda esprima un bisogno profondo di affermare il valore e la dignità della vita anche se una cultura in auge la considera un "biowaste". E mi è piaciuta perché tutti rischiamo per motivi diversi, magari perché costiamo troppo alle casse malati, di essere considerati prima o poi dall'ideologia dominante dei "Biowaste" e non ci piacerebbe per niente.

mercoledì 5 giugno 2019

Costruirsi una Kalimba elettrica

Costruirsi una Kalimba e non una Mbira, che comunque è quasi uguale!

Avevo una vecchia Kalimba che è stata inglobata negli strumenti di mia figlia Alice che essendo una musicista professionista ha più diritto di averla di me. Però, soprattutto dopo aver sentito due musicisti che suonano con Antonio Zitarelli che la utilizzano elettrificata come secondo strumento (uno è saxofonista e l'altro percussionista) mi è venuta voglia di averne una elettrificata da usare con effetti elettronici.
Allora su ebay con 5$ ho comperato i 17 tastini e gli attacchi metallici e di legno per montarli, e su Aliexpress (Amazon d'oriente) il sistema di tre pickup per 3/4$. Per la base dello strumento ho trovato un blocco di legno abbastanza duro che per sei mesi ha avuto l'utile ma poco dignitoso compito di sorreggere il sacco della spazzatura nella nostra cucina (un sistema di carrello inventato da Ikea che però non ha pensato ai sacchetti su misura!).

Ho deciso di costruire una Kalimba con cassa piena pensando che tanto per elettrificarla non c'era bisogno di una cassa e poi comunque ho visto che esistono le Kalimba fatte così. Ma mi sbagliavo sulla possibilità di captare le vibrazioni con il tipo di pickup scelto.
Ho forato e scavato a scalpello la sede per la presa jack dissaldando i tre cavi, facendoli passare da una parte all'altra del legno/cassa e risaldati. Ho montato tutto
Il suono acustico era buono ma la vibrazione della cassa piena era troppo bassa per essere captata sufficientemente dai tre pickup piezoelettrici. Bisognava aumentare moltissimo il volume avendo come risultato aggiuntivo un insopportabile rumore di fondo. Ci voleva una cassa e soprattutto una superfice che trasmettesse le vibrazioni, non così spessa. Preso il coraggio a due mani (e due piedi) ho deciso di lanciarmi in un'impresa di scavo della cassa con una fresa elettrica che si manovra con due mani. Ho disegnato le parti da scavare.
Non avendo molta esperienza la faccenda è stata lunga e faticosissima anche perché i pickup e la presa jack erano montati e non volevo ricominciare prorpio tutto da capo. Con qualche incidente di percorso, la presa jack è saltata, sono arrivato in fondo.
Ho pensato di fare anche un coperchio ma di forarlo per far uscire meglio il suono
Ed ecco lo strumento finito recto/verso
E adesso suona bene elettronicamente e con un po' di effetti ci si può proprio divertire
Ecco un assaggio

giovedì 23 maggio 2019

La vita è bella

Dalle 20:17 alle 24:00 

Una sera davanti al camino


Alle 20.17 di ieri Dani è arrivata da Zurigo alla stazione di Lugano come fa settimanalmente da 7 anni andando a passare alcune ore da nonna con la nostra nipote Mila. Ma ieri c'era anche il compleanno di Elia, il nostro primogenito, papà di Mila.

Normalmente se arrivo in tempo e trovo posteggio, aspetto Dani alla salita della scala del sottopassaggio che porta ai binari, altrimenti, come ieri sera, le vado incontro e da lontano ci sbracciamo salutandoci come se non ci vedessimo da mesi. Andando verso la nostra auto ne vediamo una bianca posteggiata con la scritta in corsivo "La vita è bella...". Sorridiamo.La mia vita è bella. la mia vita con Dani è bella: sono affermazioni che descrivono oggettivamente la mia realtà. In pensione abbiamo anche in regalo un mucchio di tempo da spendere assieme. Sono molti i momenti piacevoli e alcuni sono davvero speciali come ieri sera.

Dani non ha fame e quindi cucino solo per me del fegato alla griglia con formentino, il camino è acceso, chiacchieriamo mentre lei mi racconta della sua giornata a Zurigo e di Mila che era molto preoccupata perché il sole alla fine esploderà e sarà la fine della terra e quindi della nostra famiglia. D'altra parte suo Papà a 5 anni per un po' era angosciato dal fatto che Giove sarebbe diventato una stella e avrebbe mandato in tilt il sistema solare.
Finita la cena mi siedo anch'io al camino e Dani mi legge dal suo Ipad un passaggio di Pasternak dal Dott Zhivago che sta rileggendo e che oggi l'aveva colpita. 


"Aspettate, ve lo dico io quello che penso. Penso che se la belva che dorme nell’uomo si potesse fermare con una minaccia, la minaccia della prigione o del castigo d’oltretomba, poco importa quale, l’emblema più alto dell’umanità sarebbe un domatore da circo con la frusta, e non un profeta che ha sacrificato se stesso. Ma la questione sta in questo, che, per secoli, non il bastone ma una musica ha posto l’uomo al di sopra della bestia e l’ha portato in alto: una musica, l’irresistibile forza della verità disarmata, il potere d’attrazione dei suo esempio. Finora si riteneva che la cosa essenziale del Vangelo fossero le massime e le regole morali contenute nei comandamenti, mentre per me la cosa principale è che Cristo parla con parabole tratte dalla vita d’ogni giorno,"

Si tratta di unariflessione che il personaggio principale esterna a un altro, e l'ascoltatore se ne va dicendo al protagonista di provare a scrivere quanto ha detto visto che lui non aveva capito nulla. E questi. rimasto solo, si adira contro se stesso per aver svelato una parte intima di sé a uno che non ha colto nulla, le perle ai porci. 
Il Dottor Zhivago, non è infatti il polpettone melodrammatico che il film ha raccontato ma un testo di profonde riflessioni sullo sfondo di una storiella che è solo lo spunto per un'introspezione di grande valore; Dani aggiunge che diversi grandi scrittori russi hanno fatto lo stesso, cioè utilizzavano una storia magari non particolarmente speciale come canovaccio su cui imbastire un percorso complesso di approfondite considerazioni esistenziali. Nel suo viaggio, l'anno scorso, sulle tracce degli scrittori russi fra San Pietroburgo e Mosca, la casa di Pasternak è quella che l'aveva colpita di più, forse perché c'è una certa vicinanza visto che lui è morto quando lei era già nata, una sorta di legame privilegiato, chissà.

Mi ricorda che oggi sono tre mesi dalla morte di Giovanna, una amica che ha fatto i conti tutta la vita con un cromosoma impazzito.
Ha scritto alla mamma che non si dà pace per la scomparsa della sua "piccola sfortunata figlia", un pensiero, me lo legge, ricordando un episodio con l'amico saggio, il vescovo Eugenio Corecco: 


quando in una nostra colonia (vacanze integrate che abbiamo fatto per decine di anni) un incidente aveva causato la morte di un bimbo di tre anni, dopo una lunga agonia e un momento in cui sembrava riprendersi, ci eravamo trovati in tanti amici nella sala adiacente la chiesa di San Rocco a Lugano ad aspettare i genitori di quel bimbo morto a San Gallo; Corecco ci aveva detto che nasciamo per compiere un destino e che quel bambino in tre anni l'aveva sicuramente compiuto.

E intanto Dani si ricorda di un altro amico down che proprio sei mesi fa anche lui se ne è andato, Dani scrive qualche parola alla sorella che, praticamente appena partito il messaggio in whatsapp sta già rispondendo. Sistemo la legna che brucia nel camino. Sono le 22.30. 


Dani si chiede se sarà già finito il Barbiere di Siviglia che Mila e genitori sono andati a vedere per festeggiare il compleanno di Elia. Ne cerco una versione su youtube, credo buona, del 1988 con la locarnese Cecilia Bartoli giovanissima. 


Ne ascoltiamo qualche passaggio.
Dico a Dani che sarà bene che si studi il libretto perché Mila probabilmente vorra costruire qualche storia a partire dal Barbiere di Siviglia, visto che con Dani hanno passato anni a raccontare e interpretare storie spesso partendo da testi esistenti. 
Se poi Dani non sa bene il testo originale lei si arrabbia, come ha fatto con Narnia che Dani non conosceva bene e lei le diceva che non poteva mica dirle tutto raccontandole sei libri in un minuto, insomma la rimproverava di non essersi preparata. 
(E Nora, mamma di Mila, ci conferma che la bimba è entusiasta dell'opera di Rossini).


- Dovresti scrivere queste cose sul suo blog perché altrimenti andranno perdute -, ma Dani mi sorride dicendo che lo faranno i suoi biografi.
Finisco di sorseggiare un magnifico absinthe francese a 60 gradi. Intanto è arrivata mezzanotte.

giovedì 9 maggio 2019

Awakenings

Risvegli particolari

Risvegli, Awakenings, film del 1990, è un film drammatico con un buon cast che fa venire i brividi, mentre i nostri risvegli quotidiani sono decisamente più banali e senza sussulti, salvo qualche rara eccezione in cui anche noi, comuni mortali, siamo confrontati con l'imprevisto. Ecco un esempio.
Vaglio, via  Vaglio di sotto 15, primo piano, letto triangolare, Giovedì 9 maggio 2019 ore 10:00:
Dani è sveglia dalle 8:00 e legge, scrive e organizza, tenendo sotto controllo coi suoi device portatili, se non l'intero pianeta, almeno la parte di ecosistema digitale a cui ha accesso. Io non so bene se sia già ora di svegliarmi essendo andato a letto alle 3:20 dopo aver riordinato (e scaricato alcuni mancanti) una ventina di film di Ridley Scott. Sonnecchio con la testa teneramente appoggiata al braccio destro di Dani che armeggia con l'Ipad e tento di fare un calcolo difficilissimo in quel momento, cioè quante ore abbia dormito, e quindi se sia davvero ora di alzarsi. Mentre cerco di dare una formulazione razionale a questo quesito che nella mia vita da pensionato sto formulando in piena notte, mi pare di sentire una goccia d'acqua fra naso e occhiali che ho comunque indossato anche se non sono sveglio. Dopo poco la sensazione si riconferma, un'altra goccia mi raggiunge, e a questo punto immaginando cose strane, da uno scherzo di Dani e qualche altro fenomeno, farfuglio una frase che credo sia stata "ma cosa sono queste gocce d'acqua?" e Dani credo abbia risposto come si risponde a uno che sta sognando; però insisto e allora lei accetta che ci sia qualcosa di reale in questa conversazione anomala, guarda in alto verso il soffitto e sentenzia: "ma è pipì di gatto".

Parentesi informativa ad uso di chi non ha tutti i dati relativi alla nostra situazione. 
Noi abbiamo in pensione per un mese i due gatti di nostra figlia Alice che abita a due km da noi a Bigorio, ma essendo musicista, quando è in giro per il mondo a beare il suo pubblico della grazia e della maestria con cui gestisce il suo trombone, pensa giustamente che i suoi micetti stiano meglio da noi dove non si sentono abbandonati. I due quadrupedi sono Marie Curie, madre, piccola e intelligente, e Rambo, figlio, 7/8 kg di muscoli, ossa e pelo, che non brillano per acume.
Rambo in un angolo luminoso a Bigorio


Marie Curie e Rambo in ambiente dark a Vaglio

Tornando agli avvenimenti: siccome Marie Curie è da tempo dormiente nel nostro letto, si deduce che a urinare sulle nostre teste dalla camera di sopra sia Rambo. Risveglio improvviso, adrenalina, corsa verso il piano superiore e conferma dell'ipotesi. Ormai sono ben sveglio e prendo della carta igienica per asciugare il pozzetto che attraverso il pavimento di travi della nostra vecchia casa filtra di sotto, mentre Dani agguanta Rambo e procede all'operazione educativa che consiste nel mettere il naso del gatto nella pipì e poi nella lettiera dove avrebbe dovuto farla. L'animale non si divincola pur avendo la muscolatura e l'energia per evitare di subire la lezione e sembra accettare costernato il quadro coercitivo. Mi chiedo se non abbia sviluppato una sorta di coscienza della colpa.

Poco dopo, come documentato dalla foto, la situazione è normalizzata e anche Dani schiaccia un pisolino. Intanto sono le 11 am.

domenica 28 aprile 2019

Tra galassie e sofferenza individuale

Dall'infinitamente grande all'infinitesimamente piccolo, la questione esistenziale


Sulla nostra chat di famiglia su whatsapp Basilio ha postato questa sua foto spettacolare (vedi il suo blog astronomico



col commento: "Per riquadrare un po' il nostro ombilichismo, questo è un quadratino di cielo nella zona della catena di Markarian, in ogni cerchio rosso una galassia con tanti miliardi di stelle e pianeti quanto la nostra. Ma noi per fortuna siamo al centro di tutto...". Ho commentato così: "riuscire ad avere costante coscienza di questa "relatività" potrebbe permettere agli essere umani di vivere molto meglio relativizzando le inezie che li condizionano e li rendono infelici. Ma sono stati costruiti male e non ci riescono."



Due giorni dopo questo scambio vengo a sapere di una malattia importante a una persona a me cara, giovane e mamma, e allora fra lo sconcerto e il dolore per questa notizia mi ritrovo a riflettere sul senso della sofferenza per rapporto allo spazio e al tempo che mi appaiono quasi infiniti per lo strumentario di cui dispongo. 

Mi sono fermato a scattare questa foto di un magnifico glicine (noi non siamo mai riusciti ad averne uno fiorito!) proprio pensando a questa ragazza e in particolare a sua mamma, perché un genitore confrontato con la sofferenza di un figlio deve fare i conti con l'impotenza, può solo essere accanto.




Penso anche ad altre persone care che soffrono e tutte mi riportano alla domanda di senso sul limite, sulla sofferenza, sulla finitezza, e quindi sulla mia finitezza.

Tra l'infinitamente grande delle galassie e l'infinitesimamente piccolo degli atomi di cui siamo fatti, per la maggior parte spazio vuoto, credo si debba situare il significato di tutto ciò che esiste e ci circonda, quindi anche il senso della sofferenza, del limite, della malattia, della finitezza e della mia finitezza.


Considerata l'impossibilità ad applicare su noi stessi o sulle persone a cui vogliamo bene, un criterio razionale distaccato e quasi cinico sulla "ragionevolezza inevitabile" del limite e della finitezza perché sono ontologicamente congenite nella struttura umana, siamo disarmati. Le diverse esperienze di fede che molti esseri umani fanno possono essere di grande aiuto ma non risolvono esaustivamente la questione: "perché il limite, perché la malattia, perché la sofferenza, perché la finitezza?".

Con gli anni mi è parso che se le risposte che vorrei, nella formulazione che vorrei, non si trovano, d'altra parte è aumentata la percezione di una pista possibile per comprendere forse un po' del quadro di riferimento. Si tratta di una visione che al posto della mia singola persona ed esperienza, l'unica conosciuta e accertata da ogni singolo essere umano, pone la mia esperienza di corta durata (un secolo al massimo che nel cosmo è un'inezia) in connessione con un prima e un dopo, cioè all'interno di una storia più ampia dove anch'io ho un ruolo temporaneo e un piccolo contributo da dare. Niente di speciale in questa trovata se la applichiamo agli altri ma per poterla applicare a noi stessi trovando in questo un significato per gli aspetti a cui mi sono riferito (limite, sofferenza e finitezza), la faccenda mi pare richieda un lungo cammino di approfondimento personale. Si tratta di  uno sguardo al futuro spostato su chi ti sopravviverà, figli, nipoti, generazioni future. Sembra ovvio e scontato ma credo che ciò che può cambiare veramente è trovare pace e serenità nel ricercare il senso della propria esistenza e della propria finitezza nello sguardo di chi prenderà il testimone. 

Forse allora il senso della sofferenza di un figlio (un senso introvabile) si può spostare in una ipotesi diversa, quasi cosmica, nello sguardo di un piccolo essere, un nipote, che canalizza le tue domande legittime in una speranza che si dilata ed è come se esplodesse, dall'atomo alle galassie. Perché fra l'atomo e le galassie c'è solo una perfetta continuità dell'esperienza della perfezione e della bellezza, che molti esseri umani hanno chiamato Dio.




sabato 20 aprile 2019

Dio esiste? Potrebbe essere la domanda sbagliata

Dio esiste? Potrebbe essere la domanda sbagliata


 Polittico dell'Agnello Mistico di Hubert e Jan van Eyck, copertina pasquale della rivista Caritas Ticino

In clima pasquale, davanti al capolavoro fiammingo, provo a fare qualche riflessione impegnativa sollecitata da un'amica che il giovedì santo durante la cena "dell'agnello" ha sollevato la questione dell'essere condizionati a credere in Dio se si frequentano determinati ambienti che rendono affascinante questa idea.
Ma prima di entrare in merito una premessa personale. Per moltissimi anni, probabilmente per quasi tutta la mia vita da cattolico, ho frequentato messe domenicali che sostanzialmente non mi piacevano per la poca cura del "bello", sia nella configurazione dei gesti liturgici ma particolarmente nel canto, un aspetto a cui sono molto sensibile. Soprattutto negli ultimi anni è diventata una vera sofferenza fisica sopportare sacerdoti che urlano al microfono e fedeli che fanno lo stesso per non essere da meno, con cali di tono e stonature, attacchi sempre e totalmente scordinati. L'orrore magari accompagnato da una chitarra leggermente scordata, usata come se se si accompagnassero i canti di un bivacco. 
Ho una passione per la liturgia bizantina russa che, non avendo avuto scossoni di rinnovamento è rimasta come secoli fa con una caratteristica straordinaria: il popolo sta zitto e ascolta un coro. Credo che le più belle liturgie, della durata di diverse ore, le ho vissute a Novosibirsk in Siberia e al monastero di Chevetogne in Belgio che celebra in rito bizantino pur essendo cattolici. Si tratta di momenti dove l'affermazione che "il bello conduce a Dio" sembra tangibile con rituali di una eleganza raffinata e con canti sempre di notevole livello che alternano lunghe preghiere cantate da un diacono. 
Detto questo dopo un periodo di "decontaminazione" ho deciso con mia moglie di andare a Cademario, a mezzora di auto da casa nostra, dove 9 suore clarisse curano nei minimi dettagli la liturgia e preparano accuratamente i canti. Non sono un coro straordinario e fuori scala, ma la cura che mettono nella preparazione rende quei canti sempre molto belli. Soprattutto quelli che il popolo non può cantare e quindi rovinare. Negli ultimi mesi è stato posato un magnifico mosaico di Rupnik con un Cristo al centro che sembra guardarti in qualunque angolo della chiesa tu sia.
Andare a quelle messe è un piacere per l'occhio, l'orecchio e per il "cuore", si potrebbe dire.


Vengo ora alla sollecitazione sull'esistenza di Dio. L'amica dice in sintesi che avendo frequentato per un po' il monastero di Cademario si è resa conto che un'atmosfera bella e suggestiva alla fine ti condiziona al punto che credi di credere in Dio. Ma non sai se questo è giusto perché non sai se esiste davvero.
In altri termini traduco la questione così: alla domanda se Dio esista vorresti una risposta convincente e non un condizionamento che determini una risposta che non è tua.
Credo che ci sia un problema legato alla domanda in sé che non può avere risposta razionale, nel senso che non si può dimostrare l'esistenza di Dio né la sua non esistenza. Se ne può discutere all'infinito e studiare la questione dal profilo filosofico o teologico ma non si può avere la risposta razionale che convince. Appunto è una questione di fede. Ma cercando di riflettere in termini laici, cartesiani e non fideistici, mi viene da dire che il bisogno di trascendenza degli essere umani fa nascere questa domanda anche se è impossibile avere la risposta che si vorrebbe. 
Credo che invece la domanda si debba spostare sul piano della fiducia che viene riposta in altri che credono e testimoniano in modo convincente il loro credo. Del resto guardando persone che vivono bene, sono felici, e affermano di credere, non si può non ipotizzare che questi potrebbero avere ragione. Nella mia vita penso ad alcuni maestri che ho stimato molto, primo fra tutti il vescovo di Lugano Eugenio Corecco. Quest'uomo testimoniava una grande fede e il fatto di essere una persona straordinaria rendeva trasparente e credibile ciò che raccontava. In particolare negli ultimi anni della sua vita, ammalato, aveva reso "fatto pubblico" la sua sofferenza, la sua malattia e la sua prossima morte, e questo interrogava tutti quelli che lo incontravano, sul piano della fede. 
Allora quando incontriamo persone che apprezziamo e hanno fede queste ci condizionano nella ricerca di Dio? Ebbene sì, perché il piano della domanda sull'esistenza di Dio non può essere quello razionale ma quello della testimonianza di qualcuno in cui si possa porre la propria fiducia.
Direi che il "condizionamento" crea solo delle condizioni affinche liberamente io possa porre la mia fiducia in quella persona o in quelle persone.
Allora il consiglio che oso dare a chi è alla ricerca di Dio è quello di smettere di porre quella domanda senza risposta ma piuttosto di guardarsi intorno per capire chi sia più degno di fiducia, cioè chi crede o chi non crede. E chi è seriamente impegnato in questa ricerca ricordi il consiglio di un altro saggio, Papa Benedetto XVI: chi non ha fede viva come se ce l'avesse.  

Al monastero di Cademario durante la liturgia del venerdì santo, si è baciata la croce e quando il sacerdote stava andando a riporla, la madre superiora gli si è avvicinata per indicargli una suora anziana che non cammina a cui doveva portare la croce da baciare, cosa che ha fatto. Un gesto solenne nella semplicità più assoluta che riportava la gestualità rituale sul piano dell'attenzione a una persona con qualche difficoltà. Allora lassù in quel monastero dobbiamo chiederci se Dio esista? O piuttosto non dobbiamo chiederci nulla e stare per qualche momento accanto a una comunità di suore che testimonia la bellezza della fede con gesti di solenne normalità. 
Buona Pasqua