giovedì 7 marzo 2024

Thanks Stanley


25 anni fa moriva Stanley Kubrick
(7 marzo 1999, settantenne)


Su Kubrick sono state scritte un’infinità di cose e realizzati numerosi documentari. Inutile provare ad aggiungere altro non avendo nessuna autorevolezza o competenza per farlo.
Mi limito quindi a esprimere la mia gratitudine per le emozioni e per le riflessioni che questo maestro del cinema mi ha regalato. Studenti a Parigi, con Dani avevamo visto 2001 Odissea nello spazio, del 1969, ed era stata la svolta del cinema di fantascienza che conoscevamo, e un’occasione di riflettere sulle questioni esistenziali che quel viaggio nello spazio proponeva. Forse una tappa paragonabile è stata solo diversi anni dopo, nel 1982, con Blade Runner.
La tecnica assolutamente perfetta - non esisteva ancora la grafica computerizzata - che tiene perfettamente anche dopo 55 anni, allora era stata incredibile, una novità neppure lontanamente immaginabile. Penso che la mia passione per il cinema sofisticato che fa spettacolo sia nata lì. La scelta della musica, anche in questo Kubrick è stato geniale, aveva fatto fare al mezzo cinematografico un salto con quel linguaggio audiovisivo ipnotico che poteva incantare su due piani sensoriali.

Gli altri capolavori come Arancia meccanica, Barry Lindon, Shining e Full Metal Jacket non hanno fatto altro che confermare come Kubrick fosse il mio regista preferito che ad ogni soggetto nuovo aggiungeva un bagaglio di approfondimenti e raffinatezze di linguaggio. Li ho visti e rivisti, sempre scoprendo dettagli ricchi di quella ricerca maniacale della perfezione.

Ma il film che più mi ha colpito e intrigato, è l’ultimo, il più complesso, il suo testamento, Eyes Wide Shut. Kubrick. Pur mantenendo intatti molti elementi della storia originale dell’austriaco Arthur Schnitzler, Traumnovelle, nella sua trasposizione newyorkese in epoca contemporanea, peraltro realizzata a Londra, l’ha trasformata in una riflessione personale sul rapporto tra realtà e sogno, ma in particolare sull’amore di coppia. Mi sono chiesto se non fosse l’ultima dichiarazione a sua moglie. È morto una settimana dopo aver presentato il film agli attori e alla produzione, probabilmente consumato da quell’impegno che forse gli ha chiesto anche l’ultimo respiro.

Mi hanno fortemente colpito e commosso diversi passaggi dei colloqui fra la coppia dei protagonisti, da cui emerge la necessità di scavare nel profondo di una relazione che va costruita continuamente rivoluzionando i parametri dati per scontati in una prospettiva da reinventare, fondandola su una fedeltà al rapporto con l’altro. Ma è Alice – una Nicole Kidman da Oscar – che riesce a tirare le fila di questo sguardo carico di speranza nonostante tutto, perché non è tanto importante distinguere ciò che è sogno da ciò che è realtà ma, da sopravvissuti, fare i conti con la verità del rapporto di coppia.

Il compositore György Ligeti, che ritroviamo in diverse scene di 2001: A Space Odyssey e Eyes Wide Shut, dice nel documentario "Stanley Kubrick: A Life in Picture" che era colpito da come Kubrick avesse capito il senso profondo della sua musica: in particolare raccontava che il pezzo “Musica Ricercata” usata nella seconda parte dell’orgia quando il protagonista-intruso viene scoperto, un passaggio drammatico, l’aveva scritta sotto Stalin non potendola rappresentare in pubblico, per esprimere l’idea di una pugnalata al dittatore.

Grazie Stanley

lunedì 25 dicembre 2023

Corde simpatiche su un Plock Fiddle

Trasformazione di un Plock Fiddle


A Natale ho finito la trasformazione del mio Plock Fiddle, strumento tra la viola e il violino suonato verticalmente.
Il lavoro è stato fatto nella falegnameria/stalla che fa da sfondo al nostro presepe davanti a casa a Vaglio. Una sorta di omaggio a San Giuseppe falegname.

Ho comperato recentemente un Plock Fiddle da un musicista tedesco appassionato di strumenti a corde.
Ecco lo strumento prima e dopo la trasformazione.

Ho aggiunto 16 corde di risonanza, corde simpatiche che entrano in risonanza da sole col suono delle corde principali. Ho rifatto il ponticello, il capotasto, e ho riverniciato tutto lo strumento.
La storia del Plock Fiddle, ammesso che sia tutto vero, è curiosa. Compare in Polonia nel 1600 probabilmente da una contaminazione turca, ma presto scompare. Rimangono degli schizzi e negli anni 80 del secolo scorso, in uno scavo, se ne trova un esemplare nella cittadina di Plock, da cui il nome dato allo strumento. Alcuni liutai allora lo ricostruiscono e comincia a essere suonato sia per musica popolare che classica. È conosciuto anche come Suka e ne ho visto almeno due varianti a 5 e 6 corde. Maria Pomianowska è una musicista polacca che ha contribuito molto alla diffusione del Plock Fiddle.

Siccome spesso è suonato con note lunghe e suonando assieme più corde, ho pensato che ci vorrebbero proprio delle corde simpatiche per prolungare quel tipo di sonorità. È anche vero che di per sé aggiungerei corde simpatiche a quasi tutti gli strumenti a corde e soprattutto ad arco, ma questa è una mia fissazione da quando negli anni sessanta ho scoperto il sitar e la musica indiana.
Ecco l'inizio del progetto della struttura per aggiungere le 16 corde di risonanza e la realizzazione del supporto in legno coi 16 buchi per i piroli.

Ho costruito una chiave in legno per poter girare i piroli molto vicini.

La verniciatura ha richiesto come sempre molto tempo; prima un colore fatto con una base scura a cui ho aggiunto polvere rossa e poi molti strati di vernice trasparente con pennello soffice, intercalati sempre da carta abrasiva finissima, non oltre comunque la 1500.

Il progetto di ponticello e la sua realizzazione sono state la fase più delicata e complicata. Sono partito da un'immagine trovata in un video. La particolarità di questo ponte è che il Sound Post (l'anima) fa parte del ponte e si incastra in un incavo della tavola armonica superiore, mentre normalmente è un pezzo separato incastrato fra
la tavola armonica superiore e il fondo dei violini e violoncelli.

Ho poi modificato il progetto iniziale inclinando la parte del ponte dedicata alle 16 corde simpatiche, per evitare che l'archetto le toccasse quando lo si inclina per suonare solo le prime corde principali basse.

Ho rifatto il capotasto in osso incollando due pezzi per chitarra. L'ho fatto alto la metà di quello di legno originale che credo fosse sbagliato visto che la tecnica usata da diversi musicisti è quella di toccare il manico con i polpastrelli mentre si schiacciano lateralmente le corde con le unghie. L'originale alto il doppio rendeva impossibile questa modalità.

Ho preso come riferimento alcuni ponticelli nei video su youtube, la mia principale 
irrinunciabile fonte di informazioni tecniche.


Avendo abbassato il capotasto ho dovuto mettere dei piccoli meccanismi a rotelline (per chitarra elettrica) per tenere basse le corde dando la giusta inclinazione verso il capotasto. Ho anche spostato i due piroli delle corde basse, la prima e la seconda, che intralciavano il passaggio delle corde simpatiche.
Ed ecco il sistema dei 6 piroli principali e i 16 delle corde simpatiche.

In fine, in perfetto spirito Eco Recycling, da un pelapatate rotto ho ricavato una leva per tenere abbassata la cordiera (per violino 1/2) delle corde simpatiche.



Accordatura dopo  alcune prove: 
6 corde principali: F2 Bb2 F3 Bb3 F4 C5
16 corde simpatiche: intervalli di mezzo tono da Bb3 a C#5

In ambiente gotico


domenica 10 dicembre 2023

Pittura e anelito di infinito

 Mostrare l’evidenza del trascendente


La copertina della rivista di Caritas Ticino di Natale é una natività del fiammingo Petrus Christus (1410-1475) di Bruges. Chiara Pirovano conclude la presentazione di questo dipinto con una sottolineatura che mi colpisce profondamente relativamente al contesto culturale e religioso che stiamo vivendo.
"......la Natività del nostro artista risponde con elegante naturalismo paesaggistico e virtuosismo formidabile nella resa dei dettagli, a quel desiderio innato negli artisti fiamminghi del Quattrocento con cui cercarono a più riprese di “mostrare l’evidenza del trascendente nella realtà contingente” (C.Pescio) assecondando quel sentimento, oggi atterrito da un’assordante secolarizzazione, che attraverso l’arte dava forma e figura, sin dal medioevo, al divino partendo dalla natura imperfetta."

Di fronte all'incanto che provo guardando opere d'arte di questa caratura, ai fiamminghi che mi affascinasno, mi chiedo cosa significhi oggi “mostrare l’evidenza del trascendente nella realtà contingente, assecondando quel sentimento, che attraverso l’arte dava forma e figura al divino, partendo dalla natura imperfetta."
Sento che la bellezza e l'esperienza del bello, caratterizzano in modo inequivocabile la struttura umana che vive un anelito d'infinito anche quando questo non è percepito coscientemente. Gli esseri umani si distinguono per questa peculiarità nel poter cogliere un desiderio profondo di raggiungere un orizzonte senza confini per rispondere a un bisogno originale di completezza impossibile con la sola comprensione umana della realtà.

I fiamminghi del quattrocento, ma non solo, osavano rappresentare "l'evidenza della trascendenza" nella realtà che li circondava, una realtà imperfetta carica di limiti ma utilizzabile per dare "forma e figura al divino".

Cosa non funziona più? Perché non sappiamo più osare tanto? Non credo sia una questione di fede, anche se una cultura secolarizzata mette a dura prova i presupposti di un modello di vita religiosa centrato sulla figura di un Dio fattosi uomo. Credo però che la questione nodale sia più laica ed abbia a che vedere con una incapacità ad ammettere che l'anelito di infinito sia radicato profondamente nella natura umana. Siamo in balia di una cultura possibilista, relativista, dal ventre molle, che privilegia il "politically correct" di fronte a una possibile verità assoluta totalmente misconosciuta. Siamo arrivati alla "cancel culture". Togliamo goffamente i simboli religiosi per non offendere quelli di altre confessioni mentre neghiamo così a tutti la possibilità di credere in qualcosa. Siamo orfani di un pensiero sano.

Forse contemplare oggi, lasciandoci emozionare, opere che appartengono a una cultura che osava “mostrare l’evidenza del trascendente" ci può aiutare a riscoprire la nostalgia di un anelito nascosto nel profondo di noi stessi.

venerdì 10 novembre 2023

Sulla comunicazione e sull'AI

Comunicazione, intelligenza artificiale e pensiero

Dopo la serie di articoli sulla comunicazione in pandemia ho continuato con altre riflessioni sulla comunicazione per la rivista di Caritas Ticino. Eccole.
N2 Giugno 2022

N4 dicembre 2022


N1 marzo 2023

N2 giugno 2023

N3 settembre 2023

N4 dicembre 2023


Il monastero di Cademario celebra 30 anni

Il fascino oltre la grata

L'anno scorso ho avuto la fortuna di realizzare un reportage video, per Caritas Ticino, intervistando le suore Clarisse di Cademario che, in occasione del 30esimo ci hanno aperto le porte della clausura. Una serie di testimonianze straordinarie.


Una delle esperienze giornalistiche più affascinanti che mi sia capitata. Ho scritto di questo incontro sul N.3 di settembre 2022 della rivista di Caritas Ticino.


domenica 29 ottobre 2023

Dal Dilruba al Taus


Se hai un Dilruba ma desiderassi avere un Taus?

Una domanda sibillina, non sono in molti a porsela, forse qualcuno in India, chissà. Io avendo da anni un Dilruba, quando ho scoperto l'esistenza del Taus, che è all'origine del Dilruba, avrei voluto proprio averlo nella mia collezione di strumenti. Ma è piuttosto caro e poi mi son detto che si poteva tentare la trasformazione del Dilruba: una sorta di ritorno alle origini.

Ma vale la pena di tornare indietro nella storia: Il sesto dei dieci guru della religione Sikh, il principe Guru Hargobind (1595 –1644), passeggiando in un bosco sentì cantare un pavone, ne fu incantato e subito chiese di costruire uno strumento che riproducesse quel suono stupendo. Così, storia o leggenda che sia, nacque il TAUS che significa "pavone". E in effetti col Taus - o col Dilruba - si riesce a riprodurre un suono abbastanza simile al canto o piuttosto alle grida del pavone.
Il Taus sembra un piccolo sitar indiano, con cassa principale in legno - e non la zucca del sitar -, ma la grande differenza è che si suona con l'arco che quindi dà sonorità particolari, allungate e direi ipnotiche. 


Sono sempre più attirato dalle sonorità degli strumenti a corde suonati con l'arco piuttosto che con una penna o con le unghie. E in fondo mi piacciono molto i suoni "slide" ottenuti strisciando oggetti lisci sulle corde, perché hanno qualche similitudine coi suoni ottenuti con l'archetto.

Riprendendo la storia, si scopre che un altro principe sihk, il decimo e ultimo guru "umano" Sikh, il Guru Gobind Singh (1666 –1708) trasformò il Taus in Dilruba.

Praticamente si é tolto il pavone, per semplificare lo strumento che veniva utilizzato anche in guerra e trasportato a cavallo.



Ho cominciato a documentarmi sulla forma vera del pavone che volevo costruire.


Devo dire che i Taus moderni, anche quelli di prezzo elevato, hanno ridotto il pavone a una specie di coperchio decorativo, appiattito da togliere facilmente, che ha fatto perdere la corporeità 3D dei pavoni dei Taus antichi che si vedono nei musei.


Ho quindi cercato un po' di immagini di Taus antichi.


Ho disegato uno schizzo di riferimento per preparare i pezzi di legno da incollare dando quindi spessore al pavone.

E ho ordinato, come sempre da Aliexpress, le penne di pavone per la coda e per la cresta.

Ho tagliato i pezzi di legno, li ho incollati e ho cominciato a lavorare il blocco di legno.


Ho realizzato un incastro per poter togliere il pavone quando si devono cambiare le corde. È piuttosto macchinoso ma funziona e il pavone é stabile e sembra un pezzo unico con lo strumento anche quando si manipola energicamente il tutto.


Disegno e scultura con un utensile interessante per realizzare la testa e il becco. Alla fine la pittura con un colore che ho fatto fare sul modello dello strumento, molto costoso ma non preciso, per cui ho dovuto aggiungere un po' di nero.


Ho costruito il supporto per la coda del pavone.

La cresta poi con l'adattamento della lunghezze delle piume

Ho voluto aggiungere una piccola zucca secca al manico come risulta su alcune immagini di Taus. Si tratta, come per altri strumenti come ad esempio il Sitar, di una cassa di amplificazione visto che il manico é cavo. L'effetto si sente. Ho trovato online una piccola zucca decorativa e l'ho adattata e bucata. Ho avuto qualche difficoltà con la verniciatura perché la superficie della zucca non é per niente porosa e la vernice non attacca.



Alla fine ho aggiunto due piedi metallici cromati al pavone - con gommini di piede di violoncello - per aumentare la stabilità dello strumento mentre lo si suona. 


E per la stessa ragione ho adattato una specie di supporto "da spalla" fatto con un pezzo di vecchio archetto, e persino una piccola cintura di stoffa, perché l'aggiunta della zucca rende impossibile tenere lo strumento nella posizione che permette di suonarlo normalmente appoggiandolo alla spalla sinistra.




giovedì 24 agosto 2023

Dalla benna al microfono

Una seconda vita a una chitarra vintage 12 corde 

Nella benna degli scarti di Caritas Ticino a Pregassona, al CATISHOP.CH ci sono oggetti che non si possono più recuperare. A volte si tratta di cose che potenzialmente si potrebbero restaurare ma il costo dell'artigianato è talmente elevato da rendere impossibile la lodevole operazione. Così è stato per una chitarra 12 corde con il manico spezzato all'altezza del capotasto. Cioè la meccanica coi piroli staccata dal manico.
Si tratta di una 12 corde Höfner del 1972 che ho trovato sul sito delle "German Vintage Guitar", modello "492 round shoulder 12", almeno così sembra. E ha alcune particolarità che mi sembra ne facciano una vintage un po' speciale: il manico montato senza colla ma con un meccanismo di fissaggio e poi una meccanica realizzata con una cura quasi maniacale. Oltre al fatto che il suono è molto interessante.


Il restauro da un liutaio penso sarebbe costato una fortuna ma per un pensionato, liutaio per divertimento, le cose non stanno così. Mio nipote Kim che ha capito tutto questo, ha salvato la chitarra dalla benna per la discarica e me l'ha data per farla rivivere.
Non avendo mai fatto una riparazione così impegnativa mi sono documentato su youtube, una fonte incredibile per imparare qualunque cosa o meglio provarci. Il problema di questa riparazione é che la tensione di 12 corde è enorme in termini di chili di forza di trazione, quindi bisogna che la meccanica sia in grado di sopportarla per rapporto al manico che è montato ad angolo. Altrimenti potrebbe spaccarsi nuovamente non reggendo lo sforzo.

Da youtube ho saputo che oltre a incollare bene i due pezzi bisogna fare un doppio rinforzo di legno, due spine, da incastrare in due scanalature. E queste due scanalature sono complicatissime da realizzare perché i due pezzi (manico e meccanica) sono incollati ad angolo e non in piano. È complicato spiegare la procedura ma mi sono inventato un sistema di due guide sollevate che mi permettessero di fresare in piano le due scanalature nonostante il manico e la piastra della meccanica fossero montate ad angolo.

Costruire le due spine è stato abbastanza facile.

Ho poi scalpellato e levigato l'eccesso delle spine di rinforzo rispetto alla forma del manico che va conservata per poter suonare scorrendo con la mano sinistra sul manico.
Ho restaurato anche la parte superiore della paletta con la meccanica.
E la meccanica mi ha impressionato per la fattura e le piccole soluzioni tecniche adottate: le scatolette dei piroli si incastrano una con l'altra e la prima in ogni fila di 6 è fatta diversamente, senza rialzo del piedino di avvitamento. E ovviamente le 2 viti iniziali sono più corte delle altre. Sono dettagli credo impensabili se non nel lusso più elittario.

Una particolarità che non ho mai visto su altre chitarre è appunto il montaggio del manico sulla cassa della chitarra senza incollatura ma con un meccanismo di bloccaggio. Ho  dovuto riassestare il sistema che era ormai scollato e un po' disastrato. Con un pezzo di lattina di birra ho fatto uno spessore per la spina metallica che permette l'incastro del fondo del manico.

Purtroppo il ponte non era completo, mancava la parte centrale, il vero bridge metallico, e nell'impossibilità di trovare un originale, l'ho adattato con uno di legno.
Sono molto contento del risultato e del suono particolarmente squillante e pulito, una 12 corde vintage decisamente di pregio.




Ma sulla marca Höfner, credo entrata nella storia delle chitarre europee, c'è una chicca: la chitarra che Jeff Beck (con gli Yardbirds) fa a pezzi gettando il manico al pubblico nella scena mitica del film cult Blow Up del 1966 di Antonioni, è una Höfner.

Blow up è una sorta di manifesto di un'epoca che ha contato molto nella mia vita. E esattamente oggi, 55 anni fa, il 24 agosto 1968 iniziava la nostra storia con Dani che ho sposato tre anni dopo nel 1971, un anno prima dell'uscita della 12 corde Höfner appena finita di restaurare.