giovedì 24 agosto 2023

Dalla benna al microfono

Una seconda vita a una chitarra vintage 12 corde 

Nella benna degli scarti di Caritas Ticino a Pregassona, al CATISHOP:CH ci sono oggetti che non si possono più recuperare. A volte si tratta di cose che potenzialmente si potrebbero restaurare ma il costo dell'artigianato è talmente elevato da rendere impossibile la lodevole operazione. Così è stato per una chitarra 12 corde con il manico spezzato all'altezza del capotasto. Cioè la meccanica coi piroli staccata dal manico.
Si tratta di una 12 corde Höfner del 1972 che ho trovato sul sito delle "German Vintage Guitar", modello "492 round shoulder 12", almeno così sembra. E ha alcune particolarità che mi sembra ne facciano una vintage un po' speciale: il manico montato senza colla ma con un meccanismo di fissaggio e poi una meccanica realizzata con una cura quasi maniacale. Oltre al fatto che il suono è molto interessante.


Il costo del restauro da un liutaio penso sarebbe costato una fortuna ma per un pensionato, liutaio per divertimento, le cose non stanno così. Mio nipote Kim che ha capito tutto questo, ha salvato la chitarra dalla benna per la discarica e me l'ha data per farla rivivere.
Non avendo mai fatto una riparazione così impegnativa mi sono documentato su youtube, una fonte incredibile per imparare qualunque cosa o meglio provarci. Il problema di questa riparazione é che la tensione di 12 corde è enorme in termini di chili di forza di trazione, quindi bisogna che la meccanica sia in grado di sopportarla per rapporto al manico che è montato ad angolo. Altrimenti potrebbe spaccarsi nuovamente non reggendo lo sforzo.

Da youtube ho saputo che oltre a incollare bene i due pezzi bisogna fare un doppio rinforzo di legno, due spine, da incastrare in due scanalature. E queste due scanalature sono complicatissime da realizzare perché i due pezzi (manico e meccanica) sono incollati ad angolo e non in piano. È complicato spiegare la procedura ma mi sono inventato un sistema di due guide sollevate che mi permettessero di fresare in piano le due scanalature nonostante il manico e la piastra della meccanica fossero montate ad angolo.

Costruire le due spine è stato abbastanza facile.

Ho poi scalpellato e levigato l'eccesso delle spine di rinforzo rispetto alla forma del manico che va conservata per poter suonare scorrendo con la mano sinistra sul manico.
Ho restaurato anche la parte superiore della paletta con la meccanica.
E la meccanica mi ha impressionato per la fattura e le piccole soluzioni tecniche adottate: le scatolette dei piroli si incastrano una con l'altra e la prima in ogni fila di 6 è fatta diversamente, senza rialzo del piedino di avvitamento. E ovviamente le 2 viti iniziali sono più corte delle altre. Sono dettagli credo impensabili se non nel lusso più elittario.

Una particolarità che non ho mai visto su altre chitarre è appunto il montaggio del manico sulla cassa della chitarra senza incollatura ma con un meccanismo di bloccaggio. Ho  dovuto riassestare il sistema che era ormai scollato e un po' disastrato. Con un pezzo di lattina di birra ho fatto uno spessore per la spina metallica che permette l'incastro del fondo del manico.

Purtroppo il ponte non era completo, mancava la parte centrale, il vero bridge metallico, e nell'impossibilità di trovare un originale, l'ho adattato con uno di legno.
Sono molto contento del risultato e del suono particolarmente squillante e pulito, una 12 corde vintage decisamente di pregio.




Ma sulla marca Höfner, credo entrata nella storia delle chitarre europee, c'è una chicca: la chitarra che Jeff Beck (con gli Yardbirds) fa a pezzi gettando il manico al pubblico nella scena mitica del film cult Blow Up del 1966 di Antonioni, è una Höfner.

Blow up è una sorta di manifesto di un'epoca che ha contato molto nella mia vita. E esattamente oggi, 55 anni fa, il 24 agosto 1968 iniziava la nostra storia con Dani che ho sposato tre anni dopo nel 1971, un anno prima dell'uscita della 12 corde Höfner appena finita di restaurare.


martedì 18 aprile 2023

Accompagnare la fine di un essere a base di carbonio

Un gatto, un umano o un androide che si spengono

Oggi per la prima volta ho seppellito una gatta. Sotto un salice. Ho fatto persino una lapide col suo nome altisonante: Marie Curie. Era più o meno in pensione stabile da noi da diverso tempo. È la gatta di mia figlia Alice, si sono accompagnati per quindici anni, ma i musicisti sono sempre in giro e i gatti alla fine possono essere adottati dagli anziani genitori che sono prevalentemente stazionari.

Siccome si è ammalata e dopo un anno si è spenta piano piano, apparentemente senza dolore, ho avuto modo di osservarla mentre andava lentamente verso la fine e poi nelle sue ultime ore di vita. Un essere vivente, quindi a base di carbonio, che conclude un suo personale ciclo di vita, una visione per certi versi commovente dell'ordine naturale in cui si vive e si muore in un alternarsi armonico di queste due espressioni fondamentali dell'esistere: vivere e morire come un compimento di un destino cosmico in cui ogni essere a base di carbonio esprime la sua grandezza, la sua unicità, il suo destino in un ordine più grande.
Non dico questo perché straziato dalla morte del gatto di casa, ci si affeziona ovviamente a un animale anche se non lo si è scelto se ci si ritrova a passare molto tempo assieme, ma le riflessioni suscitate da questa gatta sono di ben altra natura: si tratta di una questione esistenziale relativa a ogni forma vivente che negli umani raggiunge il massimo del coinvolgimento emotivo. Ma vorrei in qualche modo tentare di separare la questione emotiva, dall'osservazione empirica del fatto ricorrente dello spegnersi della vita in tutti gli esseri a base di carbonio.
In questo tentativo il gatto che muore rappresenta la ricorrente espressione dell'alternarsi ripetitivo di cicli che hanno inizio compimento e fine. In una armonia continua che mi pare affermi quello che definiamo in termini filosofico-esistenziali come destino ma che in termini più prosaici sono l'aver compiuto ciò che era giusto fare, quindi avendo contribuito a una sorta di armonia universale. In questo senso sia un gatto o un genio umano possono aver adempiuto al loro compito. Evidentemente qui non mi riferisco alla gatta seppellita oggi ma ad ogni forma di vita che conosciamo e che potremmo avere l'occasione di osservare o perché no, contemplare.

Diversi anni fa, forse decenni, mi ritrovai non so più come ad uccidere dei gatti appena nati perché in sovranumero, secondo una prassi usuale nelle culture rurali che mi hanno sempre affascinato ma a cui non ho mai appartenuto. Ho un ricordo impreciso ma abbastanza lucido sull'angoscia e il rifiuto di quell'intervento di eutanasia che non mi corrispondeva in nessun modo nonostante la contradizione evidente del mangiar carne di animali che ovviamente qualcuno ha macellato. Credo che la chiave di comprensione stia nel moto che definirei instintivo, naturale, di rifiuto di ogni intervento finalizzato a terminare un processo vitale che potrebbe invece protrarsi, senza una motivazione sufficientemente forte per giustificarne la "ragionevolezza". La vita per essere interrotta deve esserci una sorta di ragione superiore che possa rendere l'interruzione accettabile. In qualche modo credo ci sia un valore straordinario nella vita che si esprime in forme molto diverse ma comunque sempre simili dal profilo del meccanismo originale. 

Penso ad esempio di essere sempre stato contrario all'aborto per un fascino/rispetto per le forme vitali prima di abbordare questioni ideologiche/sociali/etico/morali che mi sembra vengano dopo. Forse semplificando un po' ho sempre creduto che se un topo è un topo fin dal suo concepimento anche un essere umano lo è e quindi prima di affrontare una lista infinita di questioni complesse e profonde di natura socio-politica, c'è da considerare quel mucchio di cellule che diventeranno un essere umano come una forma vivente che va difesa. Se l'essere umano in divenire  è un essere vivente qualcuno deve stare dalla sua parte affermando che l'interruzione della vita è un errore tecnico in prospettiva.

Potrei sembrare assolutamente irriverente paragonando senza fare i distinguo previsti fra l'interruzione delle diverse forme di vita ma credo che fra lo spegnersi della vita di una gatta anziana o lo spegnersi della vita di un essere umano le differenze sostanziali relative all'avvenimento contingente dal profilo strettamente empirico verificabile, siano minori di quanto si creda. Ho accompagnato alcune persone care nel loro ultimo cammino e a distanza di anni, riuscendo a separare l'aspetto emotivo, rimane una serena contemplazione del concludersi di una forma vitale che va osservata come un "giusto" compimento di una sorta di missione personale che ogni essere vivente deve avere in una visione cosmica armonica.

Sono abbastanza vecchio e non vedrò lo sviluppo di forme di vita artificiale intelligente. Con ChatGPT ci sono i primi singulti di cose che andranno molto lontano e forse quello che la fantascienza ci ha offerto come spunti di riflessione potrebbe essere il preludio di una convivenza fra forme di vita a base di carbonio e altre forme che magari avranno solo una percentuale molto bassa di carbonio ma si potranno considerare vitali. Sulla scia di grandi pagine cinematografiche sul tema, ne ho contate almeno una ventina fra le produzioni degne di nota, mi chiedo cosa potrebbe significare accompagnare alla morte, cioè alla fine del ciclo di esistenza, un androide, un forma di vita artificiale intelligente. Il corrispondente del battito cardiaco della nostra gatta che ha cominciato a rallentare fino ad arrestarsi, sarà sostituito da altro che però avrà più o meno lo stesso significato. In Blade Runner Il replicante cattivo alla fine salva l'eroe, Deckart il poliziotto, perché capisce che sta morendo e "amava la vita più di quanto l'avesse mai amata prima. Non solo la sua vita. La vita di chiunque.". E forse è proprio questa la giusta chiave di lettura: amare la vita come qualcosa di straordinario e affascinante sia che sia a base di carbonio o altro, ma che la si possa definire tale al di fuori da qualsiasi forma ideologica che la possa fagocitare.

mercoledì 22 febbraio 2023

futuro distopico giapponese o profezia?

EUTANASIA A 75 ANNI E SUICIDIO DI MASSA DEGLI ANZIANI 

Per sostenere i giovani e risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione in Giappone: una provocazione su cui riflettere anche alle nostre latitudini


Ho visto recentemente il film giapponese “Plan 75” del 2022 sull’idea del favorire con incentivi, promozione su larga scala e sostegno governativo, l’eutanasia degli anziani a partire dai 75 anni. E negli stessi giorni, il 13 febbraio 2023 il NYT (New York Times) ha pubblicato un articolo relativo a una dichiarazione di un assistente professore giapponese di economia alla prestigiosa università di Yale che sosteneva che l’unica soluzione all’invecchiamento della popolazione in Giappone è il suicidio di massa degli anziani, facendo riferimento al “Seppuku”, il suicidio rituale dei samurai disonorati nel 19esimo secolo. 

E in una sua lezione Yusuke Narita aveva mostrato il film dell’orrore del 2019 “Midsommar” in cui secondo un culto svedese un anziano veniva mandato a suicidarsi lanciandosi da una alta scogliera. In proposito a un giornalista diceva: “"Se lei pensa che sia una cosa buona, allora forse può lavorare sodo per creare una società di questo tipo". 

L’articolo del NYT ha sollevato un putiferio ed è stato ripreso da numerose testate, e in Giappone tocca un tasto molto sensibile perché la società sta invecchiando fortemente ma per assetto socio-economico tradizionale, il passaggio del potere fra generazioni è molto difficile, quasi impossibile.

Il  dottor Yusuke Narita  

L’economista giapponese 37enne, dice che le sue affermazioni sono state estratte dal loro contesto; Il NYT aggiunge che “sebbene sia praticamente sconosciuto anche negli ambienti accademici statunitensi, le sue posizioni estreme, i suoi commenti sull'eutanasia e sulla sicurezza sociale, gli hanno permesso di guadagnare centinaia di migliaia di follower sui social media giapponesi, tra i giovani frustrati che ritengono che il loro progresso economico sia stato frenato da una società gerontocratica.” Verosimilmente proprio la notorietà sui social ha portato questa storia al NYT quasi due anni dopo le esternazioni del professore di Yale.

Il Dottor Narita ha scritto “Avrei dovuto essere più cauto sulle potenziali connotazioni negative.” Sostenendo che, “suicidio di massa” e “seppuku di massa” erano “una metafora astratta

Il NYT però cita l'editorialista Masato Fujisaki che “ha sostenuto su Newsweek Japan che le osservazioni del professore "non dovrebbero essere facilmente prese come una "metafora"". I fan del dottor Narita, ha detto Fujisaki, sono persone "che pensano che gli anziani dovrebbero già morire e che l'assistenza sociale dovrebbe essere tagliata". Nonostante la cultura della deferenza verso le generazioni più anziane, in Giappone sono già emerse idee sulla loro eliminazione. Un decennio fa, Taro Aso - all'epoca ministro delle Finanze e ora mediatore di potere nel Partito liberaldemocratico al governo - suggerì che gli anziani avrebbero dovuto "sbrigarsi a morire".

E bisogna anche tener conto della storia del Giappone dove parlare “di "suicidio di massa", suscita sensibilità storiche in un Paese in cui giovani sono stati mandati a morire come piloti kamikaze durante la Seconda Guerra Mondiale e i soldati giapponesi hanno ordinato a migliaia di famiglie di Okinawa di suicidarsi piuttosto che arrendersi.

Idee che secondo alcuni aprono le porte a un dibattito necessario sulle riforme pensionistiche e sul sistema di welfare, ma per altri si tratta solo di una sottolineatura del peso dell’invecchiamento della popolazione senza nessuna prospettiva realistica per alleviare la pressione sociale.

I critici temono che i suoi commenti possano evocare il tipo di sentimenti che hanno portato il Giappone ad approvare una legge sull'eugenetica nel 1948, in base alla quale i medici hanno sterilizzato forzatamente migliaia di persone con disabilità intellettive, malattie mentali o disturbi genetici. Nel 2016, un uomo che riteneva che i disabili dovessero essere sottoposti a eutanasia ha ucciso 19 persone in una casa di cura fuori Tokyo.”

Chie Hayakawa, la regista del film distopico “Plan 75”, che ci si augura non sia “profetico”, aveva fatto un test chiedendo ad amici anziani di sua madre e altri conoscenti: “Se il governo sponsorizzasse un programma di eutanasia per le persone con più di 75 anni, lei sarebbe d'accordo?" “La maggior parte delle persone era molto favorevole", ha detto la signora Hayakawa. "Non volevano essere un peso per gli altri o per i loro figli".


Chie Hayakawa regista di Plan 75

La regista 45enne, premiata a Cannes l’anno scorso per Plan 75, dice di non aver voluto prendere posizione sull’eutanasia: "Penso che il tipo di fine vita e di morte che si desidera sia una decisione molto personale", ha detto. "Non credo che sia qualcosa di così bianco o nero". Ma i suoi personaggi credo invece prendano posizione: il giovane che lavora per l’agenzia governativa che promuove e organizza il suicidio degli over 75, va in crisi quando si trova davanti un suo anziano zio che chiede di firmare il contratto del “Piano 75”, e alla fine ruberà il corpo dello zio (mi ricorda “I cannibali” del 1970 di Liliana Cavani) per dargli una degna sepoltura. E la protagonista 78enne che ha maturato dopo lunga esitazione la decisione dell’eutanasia, vede morire nel letto accanto dietro la tenda un altro anziano (lo zio del giovane) e assiste al furto del cadavere, si alza e scappa; davanti al tramonto canta sottovoce “Domani all’ombra del vecchio melo verrò per incontrarti. Quando il sole rosso scuro scende a Ovest.


Chieko Baisho interpreta una 78enne in “Plan 75.”

Sto scrivendo con le note di un Kokyu (sorta di violino giapponese) in sottofondo; ieri sera videotelefonavamo con mio figlio e mia nipote a Tokyo, forse per questo, quanto ho raccontato, mi appare ben più vicino di quello che sembra. E poi anagraficamente fra poco più di un anno io potrei entrare nel protocollo Plan 75!

Mi chiedo se la nostra cultura di origine cristiana, che ha nel suo DNA i valori del rispetto della vita e la protezione dei più deboli, riuscirà a controbilanciare la logica dell’eutanasia per ragioni socio-economiche o di “qualità” della vita? Un dibattito su un Plan 75 nostrano forse non è poi così lontano.



Ed ecco una versione leggermente ridotta pubblicata sulla rivista di Caritas Ticino.


E l'articolo del NYT del 13.02.2023 a cui si fa riferimento:

THE NEW YORK TIMES INTERNATIONAL MONDAY, FEBRUARY 13,3023

Scholar Suggests Mass Suicide for Japans Old. Does He Mean It?

 

TOKYO— His pronouncements could hardly sound more drastic.

In interviews and public ap­pearances, Yusuke Narita, an as­sistant professor of economics at Yale, has taken on the question of how to deal with the burdens of Ja­pan’s rapidly aging society.

“I feel like the only solution is pretty clear,” he said during one online news program in late 2021. “In the end, isn't it mass suicide and mass ‘seppuku’ of the eld­erly?” Seppuku is an act of ritual disembowelment that was a code among dishonored samurai in the 19th century.

Last year, when asked by a school-age boy to elaborate on his

                                                                     Hits a Nerve Over Carefor a Graying Society

mass seppuku theories, Dr Narita graphically described to a group of assembled students a scene from "Midsommar,” a 2019 horror film in which a Swedish cult sends one of its oldest members to com­mit suicide by jumping off a cliff.

“Whether that’s a good thing or not, that’s a more difficult ques­tion to answer,” Dr. Narita told the questioner as he assiduously scribbled notes. “So if you think that’s good, then maybe you can work hard toward creating a soci­ety like that”

Continued on Page A10

 

From Page A1

At other times, he has broached the topic of euthanasia. “The possibility of making it mandatory in the future,” he said in one interview, will “come up in discussion.”

Dr. Narita, 37, said that his statements had been “taken out of context” and that he was mainly addressing a growing effort to push the most senior people out of leadership positions in business and politics - to make room for younger generations. Nevertheless, with his comments on euthanasia and social security, he has pushed the hottest button in Japan.

While he is virtually unknown even in academic circles in the United States, his extreme positions have helped him gain hundreds of thousands of followers on social media in Japan among frustrated youths who believe their economic progress has been held back by a gerontocratic society.

Appearing frequently on Japanese online shows in T-shirts, hoodies or casual jackets, and wearing signature eyeglasses with one round and one square lens, Dr. Narita leans into his Ivy League pedigree as he fosters a nerdy shock jock impression. He is among a few Japanese provocateurs who have found an eager audience by gleefully breaching social taboos. His Twitter bio: “The things you’re told you’re not allowed to say are usually true.”

Last month, several commenters discovered Dr. jNarlta's remarks and began spreading them on social media. During a panel discussion on a respected internet talk show with scholars and journalists, Yuki Honda, a University of Tokyo sociologist, described his comments as “hatred toward the vulnerable.”

A growing group of critics warn that Dr. Narita's popularity could unduly sway public policy and social norms. Given Japan’s low birthrate and the highest public debt in the developed world, policymakers increasingly worry about how to fund Japan’s expanding pension obligations. The country is also grappling with growing numbers of older people who suffer from dementia or die alone.

In written answers to emailed questions, Dr. Narita said he was “primarily concerned with the phenomenon in Japan, where the same tycoons continue to dominate the worlds of politics, traditional industries, and media/entertainment/journalism for many years.”

The phrases “ mass suicide" and “mass seppuku,” he wrote, were “an abstract metaphor.”

“I should have been more careful about their potential negative connotations,” he added. “After some self-reflection, I stopped using the words last year."

His detractors say his repeated remarks on the subject have already spread dangerous ideas.

“It’s irresponsible," said Masaki Kubota, a journalist who has written about Dr. Narita. People panicking about the burdens of an aging society “might think. ‘Oh. my grandparents are the ones who are living longer,’” Mr. Kubota said, "‘and we should just get rid of them.'”

Masato Fujisaki, a columnist, argued in Newsweek Japan that the professor’s remarks "should not be easily taken as a ‘metaphor.” Dr. Narita’s fans, Mr. Fujisaki said, are people “who think that old people should just die already and social welfare should be cut*

Despite a culture of deference to older generations, Ideas about culling them have surfaced in Japan before. A decade ago. Taro Aso — the finance minister at the time and now a power broker in the governing Liberal Democratic Party — suggested that old people should “hurry up and die."

Last year, 'Plan75 "a dystopian movie by the Japanese filmmaker Chie Hayakawa, imagined cheerful salespeople wooing retirees into government-sponsored euthanasia. In Japanese folklore, families carry older relatives to the top of mountains or remote corners of forests and leave them to die.

Dr. Narita's language, particularly when he has mentioned “mass suicide,” arouses historical sensitivities in a country where young men were sent to their deaths as kamikaze pilots during World War II and Japanese soldiers ordered thousands of families in Okinawa to commit suicide rather than surrender.

Critics worry that his comments could summon the kinds of sentiments that led Japan to pass a eugenics law in 1948, under which doctors forcibly sterilized thousands of people with intellectual disabilities, mental illness or genetic disorders. In 2016, a man who believed those with disabilities should be euthanized murdered 19 people at a care home outside Tokyo.

In his day job, Dr. Narita conducts technical research of computerized algorithms used in education and health care policy. But as a regular presence across numerous internet platforms and on television in Japan, he has grown increasingly popular, appearing on magazine covers and comedy shows and in an advertisement for energy drinks. He has even spawned an imitator on TikTok.

He often appears with Gen X rabble-rousers like Hiroyuki Nishimura, a celebrity entrepreneur and owner of 4chan, the online message board where some of the internet’s most toxic ideas bloom, and Takafumi Horie, a trash-talking entrepreneur who once went to prison for securities fraud.

At times, he has pushed the boundaries of taste. At a panel hosted by Globis, a Japanese graduate business school, Dr. Narita told the audience that “if this can become a Japanese society where people like you all commit seppuku one after another, it wouldn’t be just a social security policy, but it would be the best ‘Cool Japan' policy.” Cool Japan is a government program promoting the country’s cultural products.

Shocking or not, some lawmakers say, Dr. Narita’s ideas are opening the door to much-needed political conversations about pension reform and changes to social welfare. “There is criticism that older people are receiving too much pension money and the young people are supporting all the old people, even those who are wealthy,” said Shun Otokita, 39, a member of the upper house of Parliament with Nippon Ishin no Kai, a right-leaning party.

But detractors aay Dr. Narita highlights the burdens of an aging population without suggesting realistic policies that could alleviate some of the pressures.

“He’s not focusing on helpful strategies such as better access to day care or broader inclusion of women in the work force or broader inclusion of immigrants," said Alexis Dudden, a historian at the University of Connecticut who studies modem Japan. “Things that might actually invigorate Japanese society.”

In broaching euthanasia, Dr. Narita has spoken publicly of his mother, who had an aneurysm when he was 19. In an interview with a website where families can search for nursing homes. Dr. Narita described how even with insurance and government financing, his mother's care cost him 100,000 yen — or about $760— a month.

Some surveys in Japan have indicated that a majority of the public supports legalizing voluntary euthanasia. Bui Mr. Narita's reference to a mandatory practice spooks ethicists. Currently, every country that has legalized the practice only “allows it if the person wants it themselves,” said Fumika Yamamoto, a professor of philosophy at Tokyo City University.

In his emailed responses. Dr. Narita said that “euthanasia (either voluntary or involuntary) is a complex, nuanced issue.”

"I am not advocating Its introduction,” he added. “I predict it to be more broadly discussed.”

At Yale, Dr. Narita sticks to courses on probability, statistics, econometrics and education and labor economics.

Neither Tony Smith, the department chair in economics, nor a spokesperson for Yale replied to requests for comment.

Josh Angrist, who has won the Nobel in economic science and was one of Dr. Narita's doctoral supervisors at the Massachusetts Institute of Technology, said his former student was a “talented scholar” with an “offbeat sense of humor."

“I would like to see Yusuke continue a very promising career as a scholar,” Dr. Angrist said. “So my main concern in a case like his is that he’s being distracted by other things, and that's kind of a shame.”


Articolo del NYT sul film Plan 75:

The New York Times June 17, 2022

Chie Hayakawa’s film, “Plan 75,”

 

THE SATURDAY PROFILE

A Filmmaker Imagines a Japan Where the Elderly Volunteer to Die

The premise for Chie Hayakawa’s film, “Plan 75,” is shocking: a government push to euthanize the elderly. In a rapidly aging society, some also wonder: Is the movie prescient?

Chie Hayakawa in Tokyo. Her new film “Plan 75” takes on one of the biggest elephants in the room in Japan: the challenges of dealing with the world’s oldest society.Credit...Noriko Hayashi for The New York Times

 

By Motoko Rich

June 17, 2022

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TOKYO — The Japanese film director Chie Hayakawa was germinating the idea for a screenplay when she decided to test out her premise on elderly friends of her mother and other acquaintances. Her question: If the government sponsored a euthanasia program for people 75 and over, would you consent to it?

“Most people were very positive about it,” Ms. Hayakawa said. “They didn’t want to be a burden on other people or their children.”

To Ms. Hayakawa, the seemingly shocking response was a powerful reflection of Japan’s culture and demographics. In her first feature-length film, “Plan 75,” which won a special distinction at the Cannes Film Festival this month, the government of a near-future Japan promotes quiet institutionalized deaths and group burials for lonely older people, with cheerful salespeople pitching them on the idea as if hawking travel insurance.

“The mind-set is that if the government tells you to do something, you must do it,” Ms. Hayakawa, 45, said in an interview in Tokyo before the film’s opening in Japan on Friday. Following the rules and not imposing on others, she said, are cultural imperatives “that make sure you don’t stick out in a group setting.”

With a lyrical, understated touch, Ms. Hayakawa has taken on one of the biggest elephants in the room in Japan: the challenges of dealing with the world’s oldest society.

Close to one-third of the country’s population is 65 or older, and Japan has more centenarians per capita than any other nation. One out of five people over 65 in Japan live alone, and the country has the highest proportion of people suffering from dementia. With a rapidly declining population, the government faces potential pension shortfalls and questions about how the nation will care for its longest-living citizens.

Aging politicians dominate government, and the Japanese media emphasizes rosy stories about happily aging fashion gurus or retail accommodations for older customers. But for Ms. Hayakawa, it was not a stretch to imagine a world in which the oldest citizens would be cast aside in a bureaucratic process — a strain of thought she said could already be found in Japan.

Euthanasia is illegal in the country, but it occasionally arises in grisly criminal contexts. In 2016, a man killed 19 people in their sleep at a center for people with disabilities outside Tokyo, claiming that such people should be euthanized because they “have extreme difficulty living at home or being active in society.”

The horrifying incident provided a seed of an idea for Ms. Hayakawa. “I don’t think that was an isolated incident or thought process within Japanese society,” she said. “It was already floating around. I was very afraid that Japan was turning into a very intolerant society.”

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To Kaori Shoji, who has written about film and the arts for The Japan Times and the BBC and saw an earlier version of “Plan 75,” the movie did not seem dystopian. “She’s just telling it like it is,” Ms. Shoji said. “She’s telling us: ‘This is where we’re headed, actually.’”

That potential future is all the more believable in a society where some people are driven to death by overwork, said Yasunori Ando, an associate professor at Tottori University who studies spirituality and bioethics.

“It is not impossible to think of a place where euthanasia is accepted,” he said.

Ms. Hayakawa has spent the bulk of her adult years contemplating the end of life from a very personal vantage. When she was 10, she learned that her father had cancer, and he died a decade later. “That was during my formative years, so I think it had an influence on my perspective toward art,” she said.

The daughter of civil servants, Ms. Hayakawa started drawing her own picture books and writing poems from a young age. In elementary school, she fell in love with “Muddy River,” a Japanese drama about a poor family living on a river barge. The movie, directed by Kohei Oguri, was nominated for best foreign language film at the Academy Awards in 1982.

“The feelings I couldn’t put into words were expressed in that movie,” Ms. Hayakawa said. “And I thought, I want to make movies like that as well.”

She eventually applied to the film program at the School of Visual Arts in New York, believing that she would get a better grounding in moviemaking in the United States. But given her modest English abilities, she decided within a week of arriving on campus to switch to the photography department, because she figured she could take pictures by herself.

Her instructors were struck by her curiosity and work ethic. “If I mentioned a film offhandedly, she would go home and go rent it, and if I mentioned an artist or exhibition, she would go research it and have something to say about it,” said Tim Maul, a photographer and one of Ms. Hayakawa’s mentors. “Chie was someone who really had momentum and a singular drive.”

After graduating in 2001, Ms. Hayakawa gave birth to her two children in New York. In 2008, she and her husband, the painter Katsumi Hayakawa, decided to return to Tokyo, where she began working at WOWOW, a satellite broadcaster, helping to prepare American films for Japanese viewing.

“The mind-set is that if the government tells you to do something, you must do it,” Ms. Hayakawa said.Credit...Noriko Hayashi for The New York Times

At 36, she enrolled in a one-year film program at a night school in Tokyo while continuing to work during the day. “I felt like I couldn’t put my full energy into child raising or filmmaking,” she said. Looking back, she said, “I would tell myself it’s OK, just enjoy raising your children. You can start filmmaking at a later time.”

For her final project, she made “Niagara,” about a young woman who learns, as she is about to depart the orphanage where she grew up, that her grandfather had killed her parents, and that her grandmother, who she thought had died in a car accident with her parents, was alive.

She submitted the movie to the Cannes Film Festival in a category for student works and was shocked when it was selected for screening in 2014. At the festival, Ms. Hayakawa met Eiko Mizuno-Gray, a film publicist, who subsequently invited Ms. Hayakawa to make a short film on the theme of Japan 10 years in the future. It would be part of an anthology produced by Hirokazu Kore-eda, the celebrated Japanese director.

Ms. Hayakawa had already been developing the idea of “Plan 75” as a feature-length film but decided to make an abridged version for “Ten Years Japan.”

While writing the script, she woke up every morning at 4 to watch movies. She cites the Taiwanese director Edward Yang, the South Korean director Lee Chang-dong and Krzysztof Kieslowski, the Polish art-house director, as important influences. After work, she would write for a couple of hours at a cafe while her husband cared for their children — relatively rare in Japan, where women still carry the disproportionate burden of housework and child care.

After Ms. Hayakawa’s 18-minute contribution to the anthology came out, Ms. Mizuno-Gray and her husband, Jason Gray, worked with her to develop an extended script. By the time filming started, it was the middle of the pandemic. “There were countries with Covid where they were not prioritizing the life of the elderly,” Ms. Hayakawa said. “Reality surpassed fiction in a way.”

Ms. Hayakawa decided to adopt a subtler tone for the feature-length movie and inject more of a sense of hope. She also added several narrative strands, including one about an elderly woman and her tightknit group of friends, and another about a Filipina caregiver who takes a job at one of the euthanasia centers.

She included scenes of the Filipino community in Japan, Ms. Hayakawa said, as a contrast to the dominant culture. “Their culture is that if somebody is in trouble, you help them right away,” Ms. Hayakawa said. “I think that is something Japan is losing.”

Stefanie Arianne, the daughter of a Japanese father and a Filipina mother who plays Maria, the caregiver, said Ms. Hayakawa had urged her to show emotional restraint. In one scene, Ms. Arianne said, she had the instinct to shed tears, “but with Chie, she really challenged me to not cry.”

Ms. Hayakawa said she did not want to make a film that simply deemed euthanasia right or wrong. “I think what kind of end to a life and what kind of death you want is a very personal decision,” she said. “I don’t think it’s something that is so black or white.”


Ms. Hayakawa at Cannes with two actors in “Plan 75,” Hayato Isomura, left, and Stefanie Arianne, who plays Maria.



domenica 19 febbraio 2023

Seconda vita a 3 strumenti

Una chitarra-banjo, un violino e un violoncello suonano nuovamente


Keo mi ha regalato tre strumenti che giravano in casa sua da molti anni e di cui si sono perse le origini e il percorso, salvo il violoncello che forse è stato pitturato a strisce da suo fratello.
Erano da restaurare e rimettere in sesto.

LA CHITARRA-BANJO (non è un banjo perche ha 6 corde invece delle 4 o 5 del banjo)
C'era un problema di manico non allineato alla cassa e quindi le corde erano troppo staccate dal manico ed era impossibile poterlo  suonare  con quell'allineamento. Allora ho deciso di smontarla completamente per poter pulire e lucidare tutte le parti cromate oltre ovviamente a riallineare manico e cassa armonica.

Ho limato la base del manico, e l'ho montato spessorandolo con pezzi di plastica di una scatola di formaggio. Quando ho trovato la posizione giusta delle corde rispetto al manico, ho anche bloccato la rotazione possibile del manico con una vite.

Ho pulito e lucidato tutte le parti cromate e ho rimontato, tirandola progressivamente, la pelle della cassa armonica.

Ho costruito un ponticello di legno duro.

Alla fine è una chitarra-banjo piuttosto bella con un suono piacevole.




sabato 21 gennaio 2023

Ricordando Carlo e Giacomo

21 gennaio: un anniversario che mi interroga

Due amici, mariti di due sorelle mie amiche muoiono lo stesso giorno a distanza di 13 anni. Giacomo un anno fa. Non credo ad una coincidenza ma a qualcosa di misterioso che ha legato queste due persone straordinarie che ho avuto la fortuna di frequentare, e che riconosco fra i pochi saggi che hanno accompagnato la mia vita. Erano due che pensavano bene. 
Mi mancano. Se struggente è la mancanza di persone a cui si è voluto bene, incolmabile è il desiderio di poter dialogare ancora con chi era geniale nella capacità di sguardo sulla realtà. Nostalgia e bisogno di saggi, di maestri con cui condividere l’anelito esistenziale: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Con Carlo e Giacomo ho sperimentato quasi in modo tangibile che ciò che conta veramente è il pensiero. L’azione segue, può anche essere dirompente ma pur sempre effimera rispetto al pensiero che rimane nel tempo, come espressione della verità che non può essere cancellata. Tutto può essere tolto e spazzato via ma non il pensiero. Questo ho sperimentato con questi due amici che oggi ricordo con grande affetto in questo anniversario strano.
 
I posts su questo blog in ricordo di Carlo Doveri e Giacomo Contri:

Raffaella Colombo ha risposto a questo post su una nostra chat di Whatsapp:
"Come dici bene Roby: è strano. Penso alla pulsione di morte. Sapendo che la fine è vicina, non è vero che c’è lotta per la vita contro la morte, c’è la constatazione che il corpo non è più sede di soddisfazione. Ma la memoria della soddisfazione fruita è un pensiero che resta presente. E non viene meno. 
Come sarà diventato l’io senza più corpo? 
So soltanto di una strana e costante compagnia, di una percezione del tempo che non so definire."

Trovo affascinanti due affermazioni di Raffaella: "il corpo è sede di soddisfazione" e "la memoria della soddisfazione fruita è un pensiero che resta presente". Trovo sia una magnifica immagine/spiegazione dell'idea del "far memoria", del "ricordare per sempre", che va al di là di noi che ricordiamo solo per un periodo in cui ci siamo. E mi fa anche intuire che la funzione del corpo, cioè della nostra esistenza corporea, è quella di essere "sede di soddisfazione" affinché noi, ma poi in fondo tutto il creato, ne possa fare memoria per sempre. È magnifico.


domenica 13 novembre 2022

Cello with 20 strings

Aggiungere16 corde simpatiche al violoncello


Avevo già fatto questa aggiunta sul mio violoncello elettrico ma era stato relativamente facile perché non c'era la cassa ma solo un supporto di legno massiccio e quindi non c'era pericolo di compromettere la struttura e il suono originale. 
Con un violoncello normale invece, modificare o toccare la cassa armonica è un'operazione ad alto rischio. Ho quindi meditato lungamente prima di decidermi a "operare". Ho letto e guardato su youtube tutto ciò che avrebbe potuto aiutarmi nel progetto e ho scoperto fra l'altro che alcuni liutai e musicisti hanno un violoncello con corde di risonanza che chiamano Campanula.


Ecco il mio violoncello, un regalo apprezzatissimo di mio nipote Kim, con l'aggiunta delle 16 corde simpatiche.

Ed ecco le varie fasi della modifica del violoncello.
La cosa più complicata è stata decidere dove fosse possibile ancorare i supporti delle 16 corde simpatiche che, quando sono accordate, generano una forza di trazione molto elevata che può causare disastri. Con una piccola telecamera ho esplorato l'interno della cassa trovando un rinforzo di legno in corrispondenza dell'attaccatura del manico del violoncello, spesso alcuni centimetri, e di 8/9 x 11/12 cm, incollato tra la tavola e il fondo. 

Mi è sembrato un supporto in grado di sopportare la trazione delle nuove corde.
Per la costruzione sono partito da un manico di ombrellone da giardino, legno duro e ben stagionato! Se da "liutaio per divertimento" (Label: Lutist for Fun) mi trasmormassi in scrittore per divertimento potrei iniziare cosÌ una novella: Non eliminare mai un manico di ombrellone perché un giorno potrebbe diventare l'attacco di 16 corde simpatiche del tuo violoncello.

I buchi per i piroli (peg) si seguono su una linea curva per avere lo spazio per girarli e affinché non siano vicini al manico a sinistra dove passano le dita per suonare le note alte. Ho utilizzato dei piroli per violino da 1/8.
La fase successiva è stata quella più rischiosa che quindi mi ha preoccupato: mettere le viti per fissare i supporti dei piroli al violoncello. Ho fatto i buchi e poi con la minitelecamera ho verificato dove uscivano all'interno. Inoltre guardando quando usciva la punta all'interno ho potuto misurare esattamente la lunghezza delle viti necessarie. In effetti ho dovuto cambiare la posizione di una delle 4 viti perché rischiava di incrociarne un'altra.
Ho colorato i due supporti e li ho avvitati. È stato il momento cruciale perché non vedendo, se non con una telecamera con una risoluzione molto bassa, come reagiva il supporto di legno interno al violoncello ho avuto fino all'ultimo giro di vite paura che si spaccasse. Forse una paura eccessiva perché in effetti tutto sembra tenere benissimo. 
Ho fatto un prototipo di ponticello in bamboo e ho fatto delle prove con corde da 0,2 mm per vedere quale inclinazione dargli per avere più facilmente una scala fra la nota più alta e la più bassa non giocando così solo sulla tensione ma anche sulla lunghezza. Per le corde utilizzo dei rocchetti di filo di acciaio che costano poco in Cina via Aliexpress. E poi ho costruito una cordiera (Tail piece) con un resto di manico di Shamizen, usato, accorciandolo, per costruire un Kucho, a cui ho lasciato per ricordo la spina di incastro. La cordiera è fissata al bottone (Tail gut) del puntale (End pin) con una corda come la cordiera delle 4 corde principali.
Ho allargato la base del ponticello (bridge) e costruito un capotasto (nut) che passa sotto al manico e sostiene i due gruppi di 8 corde.
E finalmente ho posizionato il capotasto e il ponticello e ho montato le corde. Ho dovuto mettere dei supporti fra iI  ponticello principale (quello delle 4 corde) e il ponticello di quelle di risonanza, perché quest'ultimo non manteneva la posizione giusta a causa dell'inclinazione delle corde simpatiche.
Ho dovuto fare un ritocco perché su alcune corde simpatiche c'era una leggera vibrazione: ho limato il capotasto in modo da ridurre la superficie di appoggio delle corde. E poi ho rialzato il ponticello per avere una inclinazione netta delle corde dal ponticello alla cordiera. E per aumentare quell'effetto che garantisce la pulizia del suono, ho aggiunto uno spessore fra le due cordiere in modo da schiacciare verso il basso quella secondaria. 
E alla fine funziona bene e le 16 corde simpatche hanno un suono pulito
L'estetica del violoncello non ci guadagna, soprattutto per il grappolo di piroli all'attaccatura del manico, ben poco elegante, ma per avere 16 corde simpatiche in più si può sopportare. Almeno spero!

Ecco la registrazione del suono "con e senza" corde di risonanze.