SCHIAVITÙ moderna, un affare da 150 miliardi di dollari.
Stime da 20 a 36 milioni
di persone.
(editoriale della rivista CARITAS TICINO luglio 2015)
A ricordarlo è Mira
Sorvino, attrice hollywoodiana, protagonista nel 2005 del film Human
Trafficking (rivista no 2 luglio 2007 e rivista no 4 dicembre 2011),
diventata ambasciatrice dell’ONU
per la lotta alla schiavitù, traffico di esseri umani, in un servizio (scritto
e video) della CNN, del 24 giugno 2015
che fa rabbrividire riportando alla
ribalta il dramma del traffico di esseri umani, schiavi moderni, che tocca un
numero impressionante di paesi, dall’India alle Filippine, dalla Thailandia al
Brasile, dal Nord Corea alla Somalia. Le stime variano da 20 a 36 milioni di
persone.
E negli stessi giorni mi è capitato di vedere
uno stralcio di un documentario francese sulla prostituzione infantile in
Madagascar, che in sintesi diceva: la povertà e la mancanza di prospettive
fanno sì che solo i turisti bianchi siano la fonte di sussistenza, la
prostituzione è quindi per molte bambine l’unica forma di sopravvivenza. Tutti
lo sanno, dai politici alla polizia, agli organismi sociali, tutti deplorano ma
non c’è niente da fare.
Mi colpisce sempre questa tragedia umana
moderna, che sembra normale, ineluttabile, cioè “non c’è niente da fare”,
e mi chiedo se la storia un giorno non si chiederà perché questo sia avvenuto
sotto gli occhi di tutti. Come lo sterminio di milioni di ebrei, di dissidenti
e di “diversi”, operato dai nazisti sotto gli occhi di tutti.
Mira Sorvino mi è
particolarmente simpatica perché sfrutta la sua notorietà come elemento
positivo per veicolare azioni, giudizi e iniziative contro il traffico di
esseri umani. Una lotta impari che, prima di avere i limiti imposti dai pochi mezzi di fronte all’immensità
del fenomeno, deve fare i conti con la mancanza dei riflettori mediatici accesi
a pieno regime. In altri termini la nostra generale indifferenza; ma perché il
traffico di esseri umani non ha mai le prime pagine? Un po’ come succede col
tema della fame nel mondo: si sa che c’è ma poiché si pensano cose diverse sui
mezzi per farla sparire allora non succede granché (vedi articolo a pag 12).
Siccome non possiamo piangere continuamente sulle stesse tragedie, pena
l’assuefazione e poi l’indifferenza, i media si adoperano per cambiare periodicamente
il programma dei drammi umani da mettere sotto i riflettori. Ecco allora che
uno Tsunami con migliaia di turisti occidentali coinvolti diventa un affare
colossale che dura mesi: senza turisti occidentali non sarebbe stato nelle
headline delle TV mondiali per più di tre giorni.
Ancora per un po’,
avremo i riflettori sui migranti del mare (vedi art. pag.10), perché il
Mediterraneo è vicino, perché i profughi interrogano l’Europa intera e Brussels
non sa che pesci pigliare, l’Italia fa un po’ di spettacolo politico, ma alla
fine si cita Gaddafi che gestiva arrivi e partenze dei potenziali migranti
africani, e adesso che non c’è più è il caos totale. E voglio ricordare anche i
“Perseguitati dell’ISIS” che ormai sono mediaticamente inesistenti, ma
che a milioni sono ancora tutti lì nei campi profughi. Ma non fanno più notizia
e quindi non se ne parla più. I meccanismi della comunicazione di massa
funzionano così anche se ci sono milioni di persone attente e attive per
costruire un mondo migliore e molti lottano strenuamente
contro il traffico di esseri umani. E come sempre è una questione di pensiero.
È appena uscito il film “Woman in gold” con Helen Mirren, magnifica interprete di una ebrea scampata all’Olocausto che lotta perché l’Austria riconosca che il famoso quadro di Klimt (titolo del film) è stato sottratto dai nazisti alla sua famiglia. Interessante nella tesi del film è la forza devastante del politically correct, cioè che un quadro del valore di centinaia di milioni possa spostare la verità dei fatti - cioè il quadro di Klimt apparteneva a una famiglia ebrea di Vienna a cui è stato confiscato dai nazisti - su un piano politico di relazioni internazionali. Solo la caparbietà di un giovane avvocato di origine ebree, nipote del compositore Schoenberg, riuscirà a rimettere la verità al suo posto. Non è solo un film, è storia, quindi a volte l’happy end c’è anche nella realtà.
Nessun commento:
Posta un commento