Riflessioni sulla morte, sul pensiero sociale e sul Natale
Vorrei
condividere con voi tre pensieri relativi ai tre motivi per i quali ci
ritroviamo stasera.
Il primo
è ricordare molte persone che ci hanno lasciato prematuramente, il secondo è un
saluto e un’espressione di gratitudine a Mara per il suo tempo dato a Caritas
Ticino, e il terzo è la vicinanza a Natale.
1
Troppe persone sono morte, troppe persone care. Don Giuseppe e Laura li
abbiamo conosciuti, gli altri no, sono famigliari dei nostri colleghi, dei
nostri amici. Non siamo attrezzati per affrontare la morte, credenti e non
credenti. Non siamo attrezzati nel senso che siamo sempre comunque sconcertati
e costretti, quasi da soli, a trovare la strada personale, per convivere con
quel sofferto percorso di lutto, affrontando il dramma della finitezza.
Da anni
mi ritrovo a riflettere sul tema della finitezza e della morte. E oso dire che
questa riflessione ha fatto emergere piano piano una convinzione che posso
provare a esprimere: la morte di persone care può essere un’occasione
straordinaria per essere interrogati sulla propria finitezza, sulla propria morte,
ma in fondo sul senso stesso della propria esistenza. Quando riusciamo a
elaborare il lutto in questo senso l’orizzonte si apre e possiamo trovare
occasioni di profonda e intima riflessione sui nostri interrogativi
esistenziali.
Posso in
poche parole raccontare quello che ho vissuto io accompagnando i miei anziani
genitori alla morte e cosa è emerso da alcune osservazioni.
Ho
partecipato alla corsa in ambulanza di mio padre, la sua ultima corsa. Arrivati
in ospedale è apparso chiaro che non c’era più nulla da fare e non valeva la
pena tentare la rianimazione di mio padre. Una dottoressa l’ha guardato e gli
ha detto: “ signor Noris lei sta per fare un lungo viaggio”. Era l’estate del 2001.
Qualche mese dopo le torri gemelle crollavano a New York. Scrivevo che le 2700 persone sotto le macerie delle Twin
Towers non avevano avuto la possibilità che qualcuno gli dicesse quello che
qualche mese prima era stato detto a mio padre.
Ma solo
dopo qualche anno ho capito che quella frase mi aveva toccato così profondamente
perché era l’espressione di un mio desiderio: quello di essere accompagnato, il
desiderio che qualcuno mi dicesse “stai per fare un lungo viaggio”. Si tratta quindi
del mio desiderio di avere qualcuno che quando morirò possa dirmi questa frase,
ma anche ora in fondo desidero di non essere solo, desidero essere accompagnato
da qualcuno che mi indichi la strada e mi dica la verità su me stesso.
Qualche
anno dopo ho accompagnato mia madre che si è spenta in ospedale alle 3 del
mattino. Statisticamente pare che molti anziani muoiano a quell’ora. Si
trattava di una persona non serena, una personalità complessa. Uscendo a
quell’ora nel parcheggio deserto, un’atmosfera lunare, faceva freddo, ho
scritto ai famigliari: “ha avuto risposta al suo anelito di infinito”. Anche
qui piano piano ho capito che a desiderare di avere una risposta all’anelito di
infinito, ero io. Io ho il desiderio di avere risposta al mio anelito di
infinito.
Tutto
questo per dire che col tempo, se si riesce a fare quello che si può definire
un lutto “sano” della dipartita delle persone care, a volte, si può trarne
delle indicazioni e capire che noi abbiamo un grande bisogno di mettere a tema
la finitezza, il limite, la morte.
Per cui
questo periodo di grande sofferenza per molti di voi, e per Caritas Ticino che
è stata attraversata da qualcosa di “fuori scala”, credo possa anche diventare
l’occasione per un lavoro personale di riflessione profonda.
2
Un quarto di secolo di vita dato a un’organizzazione come Caritas
Ticino. Non si può che essere grati, la gratitudine è doverosa nei confronti di
Mara, in particolare per me che ho colto a più riprese, anno dopo anno, la sua
passione, la sua grinta e anche l’offerta della sua preziosa amicizia.
Ma in
fondo ogni ditta ringrazia i suoi collaboratori per il loro contributo allo
sviluppo dell’azienda. Mi sono chiesto allora cosa ci sia di particolare nell’aver
lavorato per un quarto di secolo per una organizzazione come Caritas Ticino. La
risposta sembrerebbe essere relativa a tutto ciò che si è realizzato, ai
progetti, alle sfide affrontate, a ciò che concretamente si può misurare. Ma
sono arrivato alla conclusione che ciò per cui bisogna essere grati, oggi a
Mara, e a tutti quelli che danno tanti anni della loro vita a Caritas Ticino, sta
nel contributo alla realizzazione di un pensiero.
Il
pensiero di Caritas Ticino in sintesi lo vediamo passando davanti al Catishop
di Pregassona guardando la facciata con quella frase del vescovo Eugenio
Corecco che trent’anni fa’, in occasione del cinquantesimo, ci ha lasciato come
eredità: la traccia per cambiare la faccia di un’organizzazione caritativa che
lavorava partendo dal bisogno, facendola diventare un’organizzazione che parte
dalle risorse delle persone. È un cambiamento incredibile ed è una questione di
pensiero: se Caritas Ticino riesce a realizzare dei progetti dove le persone
sono valorizzate per quello che hanno e non per quello che gli manca, è perché
c’è gente che contribuisce alla realizzazione di questo pensiero magari non
sapendolo perché è difficile tutti i giorni averne coscienza. Un pensiero
rivoluzionario, un cambiamento epocale.
Quindi
il mio personale ringraziamento a Mara si fonda sulla certezza che in questo
quarto di secolo lei ha contribuito alla realizzazione di un pensiero che può
cambiare il volto della società. Accogliere delle persone per quello che hanno
come dignità e non occupandosi di loro perché sono bisognosi, è un cambiamento
epocale.
3
Tra qualche giorno è Natale. Ho la profonda convinzione che Natale
ancora oggi dopo 2000 anni possa essere un’occasione straordinaria per cogliere
il paradosso di quella fragilità del Bambino nel presepe, che per i credenti è
l’inizio della salvezza dell’umanità. Ma anche per i non credenti c’è
un’opportunità interessante che è quella di accorgersi che da quella fragilità è
nata una cultura cristiana. Anche se in diverse epoche, come la nostra del
resto, si fa fatica a riconoscerlo, quella cultura ha dentro degli elementi straordinari di
valorizzazione della dignità delle persone. Ben poche culture hanno avuto
questa lucidità.
Anche se
è difficile, il Natale ogni anno è come se ci mettesse davanti una possibilità.
A noi di coglierla. Esercitando magari la responsabilità che abbiamo nei
confronti delle persone che ci circondano, che a volte fanno fatica a percepire
questi aspetti. E il Natale oltre alla possibilità di una nostra maturazione
può diventare testimonianza di qualcosa di interessante e di importante per
l’umanità. Per i credenti e per i non credenti.
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