Je suis Charlie vs Je ne suis pas Charlie
Milioni di persone si sono scatenate sull'onda dell'indignazione per la strage di Parigi all'insegna di "Je suis Charlie" pur non avendo mai visto una copia di Charlie Hebdo prima della strage. Due giorni fa è uscito il primo numero fatto dai superstiti, tiratura di 3 milioni, probabilmente già esauriti. Ma c'è chi si distanzia, pur stigmatizzando l'atto terroristico, perché, avendo scoperto che genere di vignette dissacranti siano uscite sul Charlie Hebdo, afferma "Je ne suis pas Charlie". Penso che la questione
della satira politica e religiosa sia da affrontare in un altro modo,
soprattutto non confondendo libertà di espressione con libertà di satira senza
tener conto di cosa sia davvero quest’ultima. Dico questo perché faccio parte
di quella nicchia che la satira l’ha usata, apprezzata e conosciuta in diverse
forme, e poi perché è completamente diversa da tutte le altre espressione comunicative. Io lo leggevo Charlie Hebdo
quando studiavo a Parigi e, qualche volta, mi è capitato in mano anche negli ultimi
anni, sono cattolico ma non mi ha mai offeso perché nella satira credo che i limiti da porre
siano solo quelli del buon gusto e semmai dell’opportunità (politica, religiosa
…) ma non quelli che invece devono esserci in forme di comunicazione dove c’è
corrispondenza fra ciò che si dici e la realtà di cui si dice. Nella satira tutto è
distorto e iperbolico e quindi non c’è questa corrispondenza, ma tutto si gioca
su un registro che utilizza il sense of humor come indicatore di massima, un
registro poco diffuso se non in modi superficiali da spettacoli televisivi.
Le vignette dissacranti
magari sono di cattivo gusto e inopportune in un certo contesto ma non
esprimono quasi mai quello che « sembra » bensì una distorsione, una iperbole,
finalizzata a scatenare un meccanismo personale di « ridicolo » che è
complesso e diversissimo a seconda delle nicchie culturali che si frequentano o
a cui si appartiene.
Ad esempio a me non fa
ridere per niente la comicità italiana, francese o anglosassone che il grande
pubblico ama e apprezza. Proprio non rido alle gag televisive che divertono
milioni di telespettatori. Mentre ad esempio un film dissacrante su tema
religioso come « Dogma » di Kevin Smith, mi fa rotolarte dal ridere.
Per questo mi
infastidiscono i cattolici che devono precisare che “non sono Charlie” :
non lo sono perché sono tagliati fuori da quelle forme di comunicazione e non
perché sono più attenti e rispettosi di me al fatto religioso. E se la satira non si sa dove stia di casa in area cattolica figuriamoci fra i musulmani.
E per capire il problema molto serio che riguarda il rapporto dell'Islam con la modernità, abbiamo realizzato due puntate video di cui ho scritto una presentazione per il Giornale del Popolo e per la rivista Caritas Ticino.
A CATIvideo: l’Islam si apra al confronto con la “ragione”L’emozione collettiva in Francia e nel mondo occidentale, le manifestazioni di solidarietà e di sdegno all’insegna di “Je suis Charlie” per la strage terroristica a Parigi, non sono l’espressione di una strana riscoperta della satira antireligiosa; Charlie Hebdo lo conosceva solo una nicchia e non certo milioni di persone, che di satira non sanno nulla, ma il grido collettivo è nato dall’indignazione per l’attacco barbaro alla libertà, non quella di stampa ma la libertà a tutti i livelli. Sconcertati, molti musulmani hanno stigmatizzato la strage affermando che il terrorismo non è espressione del vero Islam che è invece una religione di pace. Purtroppo però molti terroristi sono credenti e rivendicano il diritto alla violenza partendo proprio da versetti coranici. Caritas Ticino è fra coloro che individuano una questione nodale da risolvere per impedire al terrorismo internazionale di giustificarsi attingendo al Corano: è la strada faticosa che diversi intellettuali musulmani, come Bassam Tibi, tedesco, (GdP del 13.1.2015 pag. 15), percorrono con grande fatica, minacciati dalle correnti integraliste, proponendo un’analisi storico-critica del Corano.
Il video in due puntate proposto da CATIvideo su Teleticino e su youtube, cerca di approfondire il nodo centrale, che significa per l’Islam aprirsi al confronto con la “ragione”. Come dice Bassam Tibi, bisogna poter distinguere nel Corano “ciò che è rivelazione e ciò che è interpretazione”; così si eviterà di giustificare il terrorismo, la lapidazione o la discriminazione delle donne, non perché lo dicono i diritti umani ma perché lo dice il Corano. Una svolta epocale difficilissima nella situazione politica mondiale ma assolutamente necessaria. Del resto l’Islam dei primi secoli ebbe un’apertura straordinaria che forse può rinascere. L’interpretazione del terrorismo islamico che affronta solo analisi dei fenomeni integralisti in chiave politica è solo una lettura parziale che deve armonizzarsi con l’analisi storica del pensiero religioso.
Ne hanno parlato alle telecamere di Caritas Ticino Claudio Mésoniat, direttore del GdP, don Willy Volonté rettore del Seminario diocesano, e don Giuseppe Bentivoglio, presidente di Caritas Ticino, approfondendo fra l’altro il discorso del 2006 fatto a Ratisbona da Benedetto XVI che affermava con determinazione la necessità del passaggio fra fede e ragione, perché una vera fede non è in contraddizione con la ragione. Uno scambio ricco di spunti di riflessione sia sul fronte della spaccatura all’interno del mondo islamico fra terroristi e la maggioranza di gente normale, sia sul fronte della perdita di identità cristiana in Europa e le conseguenze di tutto questo sul dialogo col mondo musulmano.
La questione infatti del rapporto Ragione-fede posta da Papa Ratzinger, si rivolge prima di tutto all’occidente che, vittima del nichilismo e del relativismo, ha perso la fonte ispiratrice della sua cultura fondata sull’esperienza cristiana che ne ha marcato profondamente la storia. Una perdita di identità culturale, caratterizzata e determinata da posizioni ideologiche, incapaci di cogliere la verità storica e le conseguenze della negazione di una evidenza. Una fra tante è l’impossibilità di entrare in dialogo coi musulmani europei per i quali la dimensione della fede, come esperienza determinante e fondamentale, è irrinunciabile oltre ad essere spesso la sola chiave di lettura della realtà. Don Giuseppe Bentivoglio, presidente di Caritas Ticino e medico, dice che ci sono musulmani che non vogliono farsi curare da medici atei, preferendo un credente anche di un’altra religione, ritenendolo più attento alle loro esigenze.
Se il mondo musulmano deve aprirsi alla “ragione” sottoponendo ad una analisi storico-critica il Corano, l’occidente deve smetterla di rifiutare con livore le sue origini confondendo continuamente i piani dell’esperienza cristiana che va scelta liberamente, dalle sue origini culturali di riferimento che non sono negoziabili in quanto realtà storica.
video 1a parte
video 2a parte
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