venerdì 30 dicembre 2016

Quasi in pensione

Quasi in pensione

Il 31 dicembre vado in pensione e nell'avvicinarsi ho scritto e detto alcune cose. 
Durante l'incontro natalizio di Caritas Ticino nel Sigrid Undset Club ho fatto alcune riflessioni di commiato.
 Per ascoltare la registrazione di mezz'ora, cliccare sulla foto.
http://cativideo.dyndns.org/cati/altro/formazioneCATI/Natale_2016_Roby.mp3


E sul numero natalizio della rivista di Caritas Ticino ho scritto l'editoriale.

 Per leggere tutta la rivista completa cliccare sulla foto di copertina
http://www.caritas-ticino.ch/media/rivista/archivio/riv_1604/Rivista%20completa.pdf

Per leggere l'editoriale in pdf cliccare sulla foto della pagina sotto
http://www.caritas-ticino.ch/media/rivista/archivio/riv_1604/Noris_Roby_editoriale_2016_04.pdf

Dal 1 gennaio 2017 una nuova sfida
 

domenica 9 ottobre 2016

16'425 caffè a letto

45 Years ago...

Vaglio 9 ottobre 2016 ore 10:30: ho portato il 16'425esimo caffè a letto a Dani che mi chiede come si traduce "stavamo cercando" per completare il seguente riferimento storico: "45 Years ago, We were looking for a pair of white Shoes for the Wedding in the afternoon". 
Descrizione autentica in quanto a poche ore di distanza da questa foto


come risulta dal testo del nostro annuncio di matrimonio
correvamo a Friburgo fra i negozi di scarpe per trovarne un paio bianche per la sposa. 
Poi la situazione è evoluta come risulta dalle immagini d'archivio e più recenti
ma rimane il fatto che anche se in vicinanza del mitico '68, le facce delle commesse dei negozi fossero esterrefatte. Chissà se qualcuna di loro avrebbe scommesso che una coppia così sarebbe durata nel tempo. Anche allora, come oggi, i matrimoni si preparavano in un altro modo, ma a noi andava benissimo così. A mezzogiorno abbiamo mangiato un cavolfiore nella cucina della casa dove abitava Dani, mentre i nostri amici preparavano la festa di matrimonio. 

Ma se poi una domenica mattina 45 anni dopo bevi a letto con tua moglie il 16425esimo caffè, vuol dire che andava bene così.

sabato 27 agosto 2016

BURKINI, TOPLESS E BUON SENSO

BURKINI, TOPLESS E BUON SENSO


Non mi capita quasi mai di passare delle ore su una spiaggia, forse per questo le rare occasioni diventano momento di riflessione sullo sfondo di una natura marittima di grande fascino e una natura umana spesso meno entusiasmante. Albenga 23 agosto dalle 4 del pomeriggio alle 8, sedia pieghevole e Kindle a 10 metri dall’acqua, leggendo un saggio poco interessante sul gioco d’azzardo negli USA. Sulla destra, a qualche metro una gentil donzella mette in mostra le sue grazie in topless, mentre davanti, coi piedi nell’acqua, due suore in abito lungo bianco passeggiano contemplando il mare. Due mondi a confronto, ma ce n’è un terzo a pochi chilometri al di là della frontiera francese vicina. Il recente divieto su diverse spiagge di portare il burkini, un costume molto castigato che ricopre la quasi totalità del corpo femminile, adottato da molte donne musulmane, fa discutere sui social-network con una foto scioccante che finisce persino sul New York Times del 25 agosto: 4 poliziotti armati circondano una donna in burkini in ginocchio sulla spiaggia che è visibilmente costretta a togliersi l’indumento incriminato. 
I disordini fra turisti che fotografavano le donne così vestite e i loro mariti che li hanno picchiati, hanno influito su queste misure di “ordine pubblico” di alcuni comuni marittimi francesi. Una foto virale scattata a Nizza a 111 km dalle due suore ad Albenga che alle 7, dopo la partenza della folla dei bagnanti, mentre imperterrite continuavano il loro pediluvio, ho fotografato. 
Una immagine che credo possa rappresentare una realtà italiana dove non avrebbe fatto problema a nessuno se fra la ragazza in topless e le due suore fosse arrivata una signora musulmana in burkini. Sarebbe stata centro di curiosità quanto le altre protagoniste della mia incursione marittima, ma nulla di più. A pag. 44 riportiamo alcune considerazioni di Massimo Introvigne, esperto di fondamentalismo, che analizzando la situazione italiana non ancora toccata dal terrorismo islamico, individua fra le ragioni principali la contenuta radicalizzazione ideologica rispetto a quanto avvenuto in Francia. Non credo si debba disquisire sulla tolleranza ma semplicemente parlare di buon senso: la convivenza pacifica si costruisce distinguendo bene cosa va considerato come un attacco alla propria cultura e cosa sia solo un’innocua espressione della propria identità che non offende proprio nessuno, e al massimo richiede solo un minimo di apertura all’altro.
Nella lotta al terrorismo siamo confrontati con una guerra al fondamentalismo che è un elemento religioso presente nella storia non solo nell’Islam. Il Papa ha dichiarato, ed è piaciuto naturalmente a tutti, che non siamo di fronte a una guerra di religione, e certamente non lo è nel senso di uno scontro fra Islam e Cristianesimo, ma siamo di fronte a un problema enorme di natura religiosa che si sta manifestando con un fondamentalismo islamico dilagante che va affrontato nella sua estrema complessità, sia sul piano religioso, che culturale e politico; e bisognerebbe evitare le semplificazioni pericolose come l’illusione che non ci siano profonde differenze da affrontare, oppure, all’opposto, negando la possibilità di un dialogo intereligioso costruttivo.
Sono molto interessato alle riflessioni degli intellettuali musulmani coscienti che il fondamentalismo all’origine del terrorismo nasce all’interno dell’Islam, ed è solo da un lavoro di analisi interna all’Islam che potrà nascere una lotta efficace a queste derive. Sono persone straordinarie che, talvolta rischiando persino la vita, sono emarginate perché ciò che propongono è un lavoro difficile e nuovo per il mondo musulmano. Ricordo a questo proposito l’art sulla nostra rivista di Elham Manea, L’Isis è dentro di noi

Mi rendo però conto che questo cammino lungo e difficile ha bisogno anche di una atmosfera diffusa che favorisca prima di tutto la condivisione fra la gente normale, prima ancora di chissà quale dialogo teologico. In questo senso il gesto dei musulmani francesi che all’indomani dell’assassinio efferato dell’anziano sacerdote, si sono uniti in preghiera nelle chiese cattoliche, è un tassello importante di quel clima che deve costruirsi oggi soprattutto in Europa: chi cavilla o contesta questi incontri di solidarietà e di preghiera, ripetuti poi in Italia e persino in Ticino, manca di lungimiranza e di buon senso, tanto quanto i sindaci di quelle città balneari francesi che credono di difendere la laicità accanendosi contro un costume da bagno.  

domenica 26 giugno 2016

Mimi Lepori ci ha lasciato

MIMI SE NE È ANDATA

Con grande affetto la ricordo col video girato a Roma un mese fa durante il pellegrinaggio dal Papa con 230 persone della San Gottardo, ospiti, collaboratori, famiglie e amici. Bello che Giona abbia filmato e Dani abbia raccolto questo gioiello. (Mia presentazione in video)
La testimonianza di Mimi è straordinaria per la carica di speranza e di fede, una sorta di testamento raccolto certamente dal vescovo Eugenio.


Cosî l'ho ricordata per il GdP
RICORDANDO 40 ANNI CON UN’AMICA

Con Mimi se ne va un altro pezzo della mia storia, una persona che ha segnato la mia evoluzione di pensiero, con il vescovo Eugenio Corecco che ha tracciato il solco di un ripensamento della dimensione della carità, e con Carlo Doveri. Tre amici che ora è bello pensare assieme in una dimensione dove la conoscenza e la speranza si intrecciano in una armonia senza tempo.
Con Mimi e con Carlo abbiamo condiviso il desiderio di far nostro il messaggio straordinario del vescovo Eugenio che aveva affermato: “L’uomo è più del suo bisogno” aprendoci lo sguardo a un’attenzione agli altri non più centrata sui bisogni ma sulle risorse e sulla dignità delle persone. Una strada nuova che Mimi aveva fatta sua sia negli incontri personali, che nell’organizzazione delle strutture di cui si occupava, e nei progetti in paesi lontani. Con fatica e misurando spesso le difficoltà che ridimensionano le aspettative. Ma siccome volava alto, come le aquile e non si accontentava di razzolare nel pollaio, aveva sempre un orizzonte ampio dove sperimentare e cercare le soluzioni praticabili. Voleva cambiare le strutture per realizzare un pensiero sociale sano carico di speranza per tutti, e cercava tutti i mezzi per riuscirci. Per questo ha fatto politica.
Negli anni settanti abbiamo cominciato a collaborare e la lista delle cose fatte assieme è davvero lunga. I giri nelle parrocchie a animare serate con l’audiovisivo “Bambino dove vai” che si concludevano col caricare assieme pesanti amplificatori, altoparlanti, schermo e proiettori, domandandoci spesso “ma cosa stiamo facendo”. L’accoglienza in Ticino dei profughi vietnamiti, i Boat People, l’aveva voluta lei, e mi aveva chiamato nel 1980 a Caritas Ticino per lanciare un’azione di accoglienza con una metodologia nuova di gruppi parrocchiali e poi il centro culturale vietnamita a Sorengo, percorrendo strade nuove sul fronte dell’integrazione di persone di una cultura così lontana.
Il terremoto in Irpinia con viaggi improbabili, dormendo nel sacco a pelo nel caravan lasciando il portellone aperto.
Nell’88 la nascita dei programmi occupazionali per accogliere i disoccupati più “difficili” quando non si parlava ancora di disoccupazione in Ticino.
Anche l’avventura televisiva di Caritas Ticino è cominciata con lei a Natale nel 1994 negli studi di Melide che sarebbero diventati Tele Ticino, qualcosa di incredibile anche oggi ma che vent’anni fa sembrava fantascienza. Abbiamo molti contributi video di Mimi e un giorno li rimonteremo.
Quando lasciò Caritas Ticino lanciandosi in nuove avventure sociali con la sua agenzia Consono o con la Fosit, e con la fondazione san Gottardo che aveva contribuito a creare e che ha condotto fino ad ora, abbiamo continuato a riflettere assieme sulla metodologia dell’intervento sociale e a collaborare ad esempio con progetti a sostegno di poveri in diversi angoli del mondo che lei aveva scovati nei suoi viaggi.
E fino all’ultimo ha lottato avendo ancora molti progetti da realizzare.

Così nell’ultima sua prodezza, andare in pellegrinaggio a Roma nonostante fosse gravemente ammalata, c’era tutta la carica di chi guarda sempre lontano. La sua testimonianza, registrata nel video “Dal Papa per i 20 anni della San Gottardo”, che rivedremo su Tele Ticino sabato prossimo alle 18:00, o su youtube sul canale di Caritas Ticino, è una pagina straordinaria di speranza, di inno alla vita e di profonda capacità di affidarsi al disegno di Dio.

giovedì 23 giugno 2016

100 anni di una chiesa e di mio padre

100 anni di una chiesa e di mio padre

Domenica 19 giugno si sono celebrati i 100 anni della chiesa di Vaglio, dove abito. E lunedì 20 abbiamo ricordato in una Messa i 100 anni che avrebbe avuto quel giorno mio padre. La chiesa di Vaglio quindi veniva consacrata in maggio 1916 e un mese dopo nasceva mio padre Ignazio. Mi ha fatto un certo effetto scoprire questo legame insospettato fra due anniversari così vicini a me. Perché oltre ad abitare a Vaglio da trentaquattro anni, quella chiesa in gioventù mi piaceva molto e passando in moto con Dani, poco dopo che ci eravamo conosciuti nel 1968, le dissi che ci saremmo sposati lì. Cosa che poi non si è avverata perché ci siamo sposati a Friburgo. Per celebrare il centenario della chiesa si è fatta anche una processione col Vescovo per le strade del paese e nella parte vecchia dove abitiamo ho potuto fotografare il passaggio avendo come sfondo la nostra legnaia e stalla davanti alla quale Dani ha allestito un altarino con un'icona del volto di Gesù. Una espressione religiosa popolare che oggi risulta poco legata al contesto contemporaneo che in passato invece esprimeva il legame della vita della comunità in armonia con le stagioni e coi ritmi liturgici: ma questo in una società rurale fortemente caratterizzata dalle espressioni di fede. La banda davanti alla processione era l'orgoglio del villaggio e alla portantina con la statua di sant'Antonio si alternavano gli uomini forti, un onore portarla. Oggi può suonare anacronistico ma queste espressioni della tradizione religiosa ci ricordano un modello non secolarizzato di società che aveva forti punti di riferimento che si esprimevano nella rappresentazione scenica anche se oggi magari sembrano solo pittoreschi, come nelle foto dalle mie finestre.



Un secolo è una convenzione del sistema decimale, se ne usassimo un altro il numero 100 ci farebbe molto meno effetto. Ma per noi un secolo è una quantità di anni enorme, anche perché sono pochi a festeggiarne il compleanno. Del resto mio padre ci ha lasciati nel 2001 poco prima del cambiamento epocale segnato dall'attentato alle torri gemelle di New York (editoriale della rivista di Caritas Ticino).
Forti cambiamenti in un secolo su molti fronti, dal tipo di società all'esplosione delle possibilità di comunicazione, dalla tecnologia più sofisticata alla perdita di senso dell'esistenza. Oggi sono andato a salutare una cara amica che sta morendo e mi rendevo conto ancora una volta di quanto siamo disarmati di fronte alla finitezza, di fronte al confronto inevitabile con la morte. nel 1916 quando è nato mio padre non credo che avessero chissà quale strumentario per metabolizzare l'idea molto più concreta e vicina di ora, della morte delle persone care e della propria morte, ma avevano dei punti di riferimento inequivocabili in ordine alla fede e all'idea di destino personale "buono" perché amati da un Dio buono, per cui ad esempio la tragedia della mortalità infantile era accettabile nelle famiglie anche se dolorosissima. Noi a un secolo di distanza siamo completamente persi e solo in alcuni momenti speciali e rarissimi di vita comunitaria, riusciamo a sopportare l'idea del distacco.
Probabilmente è irriverente ma credo che un'immagine possa rendere l'idea del continuo disperato e goffo tentativo di scardinare l'idea della morte addomesticandola persino come un oggetto di marketing. Ma non funziona.
  

venerdì 22 aprile 2016

I miracoli li fa la concorrenza

Ho visto un solo miracolo. Fatto dalla concorrenza.

Mi è capitato diverse volte nella mia vita di trovarmi a pregare per chiedere un miracolo, sempre relativo alla guarigione di un amico. Si è sempre trattato di esperienze positive di grande unità fra le persone che si sono ritrovate assieme in quei gesti di "pietas", carichi di profondo senso religioso. Esperienze belle per l'opportunità di ritrovare se stessi di fronte a domande esistenziali che nello scorrere spesso frenetico dell'esistenza si rimandano, fino a quando la malattia, la sofferenza o la morte di persone care non ce le ripropongono in tutta la loro drammaticità.
Il Vescovo Eugenio Corecco, nel 1986, 8 anni  anni prima che ci trovassimo a pregare per lui ammalato, ci aveva aiutati a riflettere sulla preghiera intensa che per mesi avevamo dedicato a un bimbo di tre anni durante la sua agonia. Ci aveva detto che probabilmente il destino di quel bambino si era compiuto nel metterci assieme a pregare per lui ma in fondo per noi stessi e per la nostra esperienza comunitaria vissuta in quel modo. Ma il miracolo non era avvenuto. E non è avvenuto nemmeno tutte le altre volte che mi sono ritrovato a pregare per la guarigione di un amico, il vescovo Eugenio e diversi altri.

Ma un miracolo però io l'ho visto, ho assistito alla realizzazione di una guarigione incredibile, secondo i normali parametri, ma non in area cattolica bensi fra buddisti. Per alcuni anni infatti mi sono occupato professionalmente per Caritas Ticino a partire dal 1980 dell'accoglienza di un gruppo di persone provenienti dal Vietnam, "Boat People" che si sono stabilite in Ticino. Una sera attraversando la strada rientrando a casa una mamma di due bambine ha avuto un incidente gravissimo ed è entrata in un coma che i nostri medici valutavano come irreversibile. Una dottoressa mi aveva detto che da quel genere di coma ci si svegliava solo a Lourdes! 
Dopo diversi mesi di quella situazione ormai stabile, con lo scopo di sostenere la famiglia, invitai il Venerabile buddista, un'autorità religiosa molto importante per la comunità vietnamita, che viveva a Parigi. Lui venne a Lugano, incontrò la comunità vietnamita - le foto sono quelle di un momento religioso nel centro vietnamiti che avevamo creato a Sorengo -. 

Una persona squisita, che mi colpì per la pacatezza dei modi, la serenità e la profondità. Veramente una bella figura. Andò naturalmente a trovare la signora Dao in coma in ospedale, pregò per lei, mi dissero che mise qualcosa sotto il suo cuscino, forse dei testi di preghiera, si intrattenne con la famiglia e poi ritornò a Parigi.
Il giorno seguente a mezzogiorno ricevetti una singolare telefonata dalla dottoressa che mi aveva parlato di Lourdes, "sono qui con Dao che sta mangiando da sola seduta sul letto".

martedì 5 gennaio 2016

Vorrei qualche Husky e una slitta

Vorrei qualche Husky e una slitta


Sui social network credo ci siano più foto di cani e gatti che di esseri umani o almeno questa è l'impressione che ho talvolta su Twitter nonostante i miei 662 following siano piuttosto elittari visto che si interessano di questioni sociali, politiche, filosofico-religiose e artistiche (musica, cinema, fumettistica, arti figurative ecc). Insomma gattini e cuccioli si sprecano, magari con filmatini gif di qualche secondo per creare atmosfere dineyane alla portata di tutti. Mi infastidiscono e cerco di evitare l'impatto con queste distorsioni della realtà addomesticata che non riescono ad intenerirmi neanche per un attimo.
Non mi piacciono gli animali? Assolutamente no, mi piacciono se sono al loro posto. 
Vorrei ad esempio avere qualche Husky ma a condizione di avere anche una slitta e vivere fra i ghiacci. Ho una simpatia e forse una affinità atavica con gli Inuit e quindi probabilmente mi piacerebbe veramente avere un Husky, essere un Inuit e vivere sui ghiacci del polo. Per conoscere gli Inuit in modo poco impegnativo e piacevole ho in mente due bei film: Smilla's Sense of Snow del 1997 (Smilla e il senso della neve) e Chloe and Theo del 2015.

Un cane da slitta ha una sua dignità legata alla sua capacità e funzione di compagno dell'uomo con cui stabilisce un rapporto stretto e costruttivo finalizzato a realizzare cose utili e persino  alla sopravvivenza. Penso che potrei affezionarmi molto a un cane in quelle condizioni proprio sulla base di quel riconoscimento e rispetto della dignità dell'animale armonicamente inserito in un ordine della natura.
Ma fuori da quel contesto o da una situazione analoga dove la dignità dell'animale si configura in stretta relazione con la sua funzione, (cani pastore, da catastrofe ecc), mi riesce molto difficile immaginare una relazione se non improntata alla "pietà" per un animale assolutamente fuori posto. Faccio già molta fatica ad immaginare un cane da compagnia abitando in piena campagna con kilometri di prati e boschi intorno, ma in una realtà cittadina o paesana come le nostre proprio non capisco cosa ci stia a fare quel poveretto se non quale schiavo delle varie, più o meno gravi, patologie umane. Mi sono soffermato velocemente a guardare gli umani che frequentano i parchetti per cani, cessi a cielo aperto regolamentati e molto curati, dove i temi di conversazione, codificati precisamente, sono rivelatori di un orizzonte compromesso da una serie di fattori di cui nè sono coscienti, nè sono responsabili direttamente gli umani in questione. Quelli della protezione animale non godono delle mie simpatie visto che manifestano spesso tratti maniacali operando sostituzioni di specie fra quella umana e quella animale. Ciononostante ho un senso di pietà per quella schiera di animali umanizzati in modo distorto, non solo nei nomi e nelle modalità di comunicazione, ma nella sostanza del rapporto con l'umano che li schiavizza, trattandoli benissimo come se fossero umani. La mistificazione collettiva fa apparire come una prova di affetto e di dedizione all'animale ciò che è solo una imposizione innaturale di comportamenti modellati sulle esigenze del padrone: bisogno di affetto, di dominio, di prestazioni, di competizione ecc. Si fanno corsi per imparare ad addestrare i propri animali ma sarebbe più interessante creare dei corsi per imparare a gestire i propri guai senza farli pagare a un animale che non ne ha nessuna colpa o responsabilità.

Il film di Spielberg del 2001 A.I. Artificial Intelligence metteva a tema l'idea della sostituzione di entità artificiali come persone-copia con tutte le conseguenze persino nella proiezione 1000 anni dopo: penso a uno scenario analogo dove potersi procurare cani e gatti prodotti artificialmente in funzione delle esigenze di giocattolo per umani adulti che stanno meglio se hanno a fianco il PET (animale da compagnia) su misura. E perché no! Se potessimo stare meglio guarendo magari un po' dalle diverse nevrosi, avendo il Pet artificiale su misura, potremmo addirittura farlo pagare dalla cassa malati. In questo caso io sarei considerato un assicurato che costa parecchio coi miei Husky, la slitta e l'igloo in Alaska con l'allacciamento online via satellite per poter continuare a sproloquiare sul mio blog.